
La Sindrome di un Ulisse donna – La dimensione familiare acquista così un particolare e problematico spessore perché indica un paradosso dato dalla contrapposizione tra il vissuto materiale e le aspirazioni di queste migranti.E’ infatti dimensione familiare “artificiale”, quella lavorativa quotidianamente vissuta, del nucleo italiano assistito senza risparmio, spesso in nero e sino allo sfruttamento. I dati sulla comunità ucraina indicano che specie nel sud Italia i datori di lavoro non regolarizzano, talvolta per proprie difficoltà economiche. Da un’indagine diretta da Nataliya Shehda, dell’Associazione Cristiana degli Ucraini in Italia, emerge che il 50,7% degli intervistati incontrano le maggiori difficoltà fisiche e psicologiche sul posto di lavoro.Tatiana Nogailic di Assomoldave, Associazione donne moldave in Italia, racconta la sua passata esperienza di badante: “Dipende anche

da come il datore di lavoro si comporta: se tu sei in nero il datore di lavoro se ne approfitta. Pure se sei regolare le nostre donne hanno talmente paura di perdere il lavoro che lo tengono con le unghie perché adesso c’è la crisi: io ricordo che tornavo sempre in anticipo dalle ore di permesso settimanali perché avevo paura che mi buttassero per strada”A fronte di questa dimensione familiare “acquisita”, spesso problematica, vi è invece quella naturale, agognata e di frequente impossibile del proprio nucleo d’origine. Questa seconda dimensione familiare è assente per anni se non persa del tutto o abbandonata a favore della costituzione di nuovi rapporti affettivi. Una vera e propria sindrome di Ulisse nella metafora proposta da Tatiana Nogailic, sulla quale pesa anche il gap culturale e di costume che si crea tra la donna migrante e l’uomo che resta in patria: “Le donne passando tanto tempo nelle vostre case si acculturano, i nostri mariti hanno paura di noi perché ci stiamo emancipando”.
Orfani bianchi – Proprio per queste ragioni, come spesso avviene per molti popoli migranti (l’es. filippino), anche in Ucraina e Moldavia vi è un’emergenza legata agli orfani bianchi o orfani sociali. Cioè intere generazioni di bambini che non conoscono uno o più genitori o li conosceranno in tarda adolescenza quando li raggiungeranno in terra straniera o viceversa i secondi opteranno per il rientro in patria.
Pesanti barriere procedurali – Gli irregolari che lavorano in nero, molto presenti specie nella comunità ucraina, se denunciassero il proprio datore di lavoro rischierebbero l’espulsione. La soluzione potrebbe essere collegare il permesso di soggiorno all’esistenza di un rapporto lavorativo e non al datore in quanto tale.Vi è poi il mancato riconoscimento delle competenze professionali, culturali, accademiche di chi proviene da Paesi non comunitari: i loro titoli per valere da noi richiedono un iter complicatissimo. Sempre l’indagine di Sheda evidenzia che il 15% degli ucraini ha titoli ed esperienze decennali nel settore infermieristico che vengono scientemente interrotte a favore della migrazione solo per la retribuzione pessima. L’Ass.ne Cristiana degli Ucraini in Italia argomenta che al nostro SSN costerebbe molto meno integrare queste competenze che formare ex novo altri infermieri.
Una poesia – Olena Ponomareva, docente di Ucrainistica alla Sapienza di Roma, nel suo intervento traduce una poesia di Taras Ostapenko, un bambino ucraino di 14 anni, rivolta alla madre e alle donne migranti. Ne riportiamo qui una parte:“È difficile sopravvivere a questo addio E non versare le lacrime. Al posto di crescere i loro figli Le madri partono per un paese lontano. Lì numerose sono le donne ucraine: Tanti occhi sbiaditi dal pianto, tante anime spezzate… Per tutta l’Italia – da Verona alla Sicilia Scorre il fiume triste delle migranti. I soldi volano verso l’Ucraina Come se fosse un buco nero. I ragazzi non vogliono più le loro mamme, Perché il denaro è più prezioso della persona umana.”
Marco Corazziari(11 maggio 2011)