Nadia, algerina in Italia da 22 anni, vende pasticcini al mercato della Moschea. Ha iniziato per caso cinque anni fa, nel periodo del Ramadan. “Mio marito era disoccupato e non avevamo di che vivere, così sono venuta con una zuppa e ho chiesto il permesso di venderla”. Quella zuppa adesso è diventata un ricco banchetto di dolci, thè alla menta, cous cous e panini con carne speziata. Nadia reputa giusto regolamentare il mercato, sta pagando a rate 500 euro per l’occupazione del suolo pubblico degli anni passati. “Ho conosciuto l’assessore e la gente del Municipio, sono davvero delle brave persone e li ringraziamo. Parlano con noi, ci ascoltano”. Nutre, però, forti perplessità sull’obbligo di vendere cibo confezionato. “La gente non compra il cibo confezionato, preferisce i dolci fatti in casa. Non sono la stessa cosa”.
Per i commercianti che ogni venerdì allestiscono il loro stand, questo mercato ha un valore che va oltre il guadagno economico. “E’ come se fossimo nei nostri Paesi. Vorremmo essere un po’ liberi”, dichiara un altro commerciante. Qui si ritrovano tra connazionali e lo vedono come una piccola Medina, riproduzione in miniatura del clima di casa. Uno di loro ha perso la figlia pochi giorni fa, eppure con la moglie anche oggi ha aperto il banchetto. Conoscenti ed amici passando gli rivolgono abbracci di conforto.
Per ora Nadia e gli altri commercianti rimediano modi alternativi per cucinare cous cous e carne, ma aspettano che finalmente arrivi la luce per poter usare un fornello elettrico. Notiamo una certa confusione sulle procedure: “Dicono che il Municipio sta aspettando che tutti i commercianti abbiano versato 500 euro; poi noi dovremo anticipare i soldi dell’allaccio che ci verranno rimborsati”. C’è chi si è fatto fare in autonomia un preventivo Acea, sostenendo che sia il Municipio stesso ad averlo suggerito. Notiamo il disorientamento dei commercianti rispetto regole mal comprese, arrivate a disciplinare le vendite dopo 15 anni di silenzio. Ma soprattutto temono i controlli della Asl.
Ci rivolgiamo allora a Muhtar, egiziano di mezza età, che vende cibi preconfezionati. Si dichiara rappresentante dei commercianti del mercato della Moschea e ha seguito in prima persona le trattative con il municipio. “Il mercato è sempre stato abusivo” – dichiara – “e la delibera del 1994 non è mai stata applicata. Con la delibera del 20 aprile 2010 si sono svegliati. I reali problemi sono con le ASL”. Non mancano gli episodi di multe. Muhtar non ha problemi, la delibera ammette la vendita di cibi preconfezionati, mentre per cucinare sul posto sono richiesti furgoncini muniti di frigoriferi, elettricità e acqua corrente. “Il costo di un autonegozio – dice Muhtar forse esagerando –“ si aggira intorno ai 50mila euro e nessuno dei commercianti se lo può permettere. Una soluzione potrebbe essere di riuscire a comprarne uno alla volta con delle collette, ma resta comunque una strada difficile”.
Non sembra facile far coesistere il tentativo di ricreare una sorta di oasi tradizionale araba con la legislazione locale. Il mercato appare paralizzato, non rinasce. Sono diminuiti i banconi con alimentari del Maghreb, mentre stanno arrivando capi di abbigliamento che portano il marchio di note multinazionali. “Se continua così, è il declino. La cottura a carbone va incontro a multe di migliaia di euro, oltre che al sequestro della merce. Per questo molti nell’ultimo periodo hanno preferito vendere capi d’abbigliamento…. La vendita di cibi preconfezionati è una mezza soluzione. La tradizione della cucina orientale è consumare cibi cucinati all’aperto, sul posto; questa per noi è qualità.”
M. Daniela Basile(30 gennaio 2011)