Piazza Mancini è crocevia di autobus, tram e numerose nazionalità. Ogni mese nascono nuovi negozi gestiti da stranieri, in un mix di competizione e cooperazione commerciale che talvolta si esprime in forme buffe. Mancini Minimarket e Minimarket Mancini sono due negozi di alimentari vicinissimi; il gioco di parole delle loro insegne sembra voler divertire i passanti. Ma uno è gestito da filippini, l’altro da bengalesi e i primi non hanno gradito lo scherzo.“I bengalesi hanno aperto adesso, dice Lovely Dela Luna che, aiutata dal marito Rodrigo Anuran, gestisce il Mancini Minimarket da molti anni, sono dei copioni, non si imposta così la concorrenza; questo pasticcio confonde i fornitori e fa perdere tempo senza scopo”. Qui c’è un’ampia gamma di prodotti, verdure tipiche filippine, sciroppi, aceti, spezie, patatine all’aglio e peperoncino in abbondanza: fresco, secco, in salsa. L’ordine con cui è distribuita la merce, l’accostamento armonioso dei colori riescono a mascherare la ristrettezza degli spazi. Solo quando mi si fa notare che il tetto è basso e soppalcato, mi accorgo di quanto il negozio sia veramente mini.Impresa familiare. Lovely, trentenne, è venuta dalle Filippine per raggiungere la madre e la sorella che prima di lei lavoravano in questa azienda; nel tempo hanno moltiplicato le attività. La madre ha aperto un altro negozio in Prati, Lovely e il marito hanno preso in gestione il Mancini minimarket e, un anno fa, insieme alla sorella Marilou, hanno inventato l’associazione culturale Mancini.Marilou racconta lo sviluppo della piccola filiera produttiva: “non mi piaceva stare al negozio, lì passano filippini che vogliono chiacchierare e io sono timida. Invece mi piace cucinare. Nel negozio trovo ingredienti buoni, economici, che mi servono per le nostre pietanze tradizionali. Le preparo a casa, poi le porto ancora calde dove si riuniscono i soci dell’associazione”. Piatti tipici per passare le serate cantando al karaoke. “A noi filippini piace tantissimo il karaoke”, racconta Marilou, che sperava nel permesso di creare una cucina dentro la sede dell’associazione. “Purtroppo il condominio non vuole che passi la canna fumaria per il palazzo, sono un po’ diffidenti. Nel palazzo c’è già malumore per la ricevitoria, una sala scommesse gestita da un punjabi. Alcuni clienti magari un po’ ubriachi la sera fanno rumore…”.Concorrenza inter-etnica. Due negozi gestiti da bengalesi stanno preoccupando la famiglia filippina: “abbiamo abbassato di molto i prezzi, da novembre hanno aperto due alimentari, uno è quello che ci ha copiato l’insegna ma il proprietario dell’altro è davvero arrogante”. Entro nel vicino Minimarket Mancini, non trovo il proprietario, mentre c’è un gruppetto di uomini che fa compagnia al giovane commesso Mizan. “Stiamo aspettando il permesso di soggiorno, senza documenti non possiamo lavorare”, mi dicono. Dietro questi uomini non c’è una famiglia, come nel caso dei filippini che ho appena incontrato. Raccontano di essere arrivati in Italia chiamati da amici. Attraversano molti paesi, arrangiandosi di volta in volta a fare lavori occasionali, per guadagnare il prezzo del viaggio successivo. “Come Tarzan”, ride Shajahan, un trentenne del gruppetto “Prima di arrivare a Roma, in un anno solo ho lavorato in Russia, Ucraina, Slovacchia e… finalmente Ostia”. L’alimentari dove lavora Mizan ha molto spazio, non ancora sfruttato pienamente. Vi sono prodotti italiani per la casa e la cucina, più qualche cibo etnico, sia bengalese che filippino. Chiedo come mai l’insegna sia così simile a quella del negozio a fianco e Mizan risponde in tono provocatorio: “Quello Minimarket? Questo è un minimarket! E poi non è colpa nostra, bisogna chiedere a chi ha aperto il posto, io sono solo un commesso”.Meno fortunata con il terzo alimentari. Il proprietario con la scusa di non saper parlare bene italiano rifiuta l’intervista.Mediazioni e vigilanza Poco distante dai tre minimarket si trova l’Alimentari Orientali, aperto da un altro bengalese qualche anno fa. Vende frutta e verdura, è pieno di clienti. Cerco di chiacchierare con Kurshed Md Alam, il proprietario, ma non ci capiamo. Allora lui chiama Francesca Raimondi, la vicina romana disposta a fare da interprete. L’incontro si fa interessante. Vengo a sapere che nei 15 anni di residenza a piazza Mancini, questa giovane signora ha instaurato un rapporto di fiducia con i commercianti stranieri, in particolar modo con le sorelle Dela Luna. E’ punto di riferimento per i problemi burocratici, traduce documenti, agevola il dialogo con fornitori e clienti italiani. Una sorta di mediatrice spontanea.In questi giorni si è svolto un incontro tra il consigliere municipale Massimo Inches e alcuni abitanti della zona, preoccupati per le presenze straniere in continua crescita. Il consigliere ha promesso che – per bilanciare il fenomeno – aumenterà le forze dell’ordine: tre turni alla settimana di vigili urbani sulla piazza. Chissà se ai vigili interesserà conoscere Francesca e i suoi metodi di mediazione culturale. A noi questa gentile autodidatta, interessa molto. La redazione di Piuculture continuerà l’inchiesta sul mini-melting pot di piazza Mancini andandola a intervistare.
M. Daniela Basile(28 febbraio 2011)