Interessante incontro alla Libreria Griot, dove giovani e simpatiche scrittrici migranti, provenienti da diversi paesi, si sono cimentate col pubblico per presentare la loro antologia “Verrà domani e avrà i tuoi occhi”, pubblicata da La Compagnia delle Lettere, (già editrice di “Nettare Rosso” di Marco Wong), in seguito a un concorso letterario per scrittori migranti, anche italiani. L’iniziativa ha visto la collaborazione del Movimento Primo Marzo, che 1 mese fa ha organizzato in tutta Italia una giornata di mobilitazione e sciopero degli immigrati.
Le scrittrici. C’era Kathiusca, ecuadoriana, che ha scritto un racconto in romanesco, Flore, giornalista francese “un po’ apatride, un po’ nomade” che ha scritto un racconto-censimento di questo paese, sui rom, gli afghani, la xenofobia europea, c’era Guergana, bulgara, che ha sottolineato che “non c’è differenza tra gli scrittori, migranti e non, si parte sempre da ciò che si è”, Claudiléia, brasiliana, già autrice di “Storie di extracomunitaria follia” (2009)…
Oltre le definizioni. E poi c’era Aly Baba Faye, sociologo senegalese, che ha scritto per loro la prefazione. Nel 2010 la “letteratura migrante” ha compiuto 20 anni, nel frattempo sono aumentate le scrittrici. Ma Aly non sembra essere d’accordo con queste “definizioni”. In un simpatico botta e risposta con una signora del pubblico, “ammiratrice della grande esperienza che hanno gli scrittori migranti, come quella di Amara Lakous”, si è soffermato a lungo su un concetto: “Non esiste una letteratura migrante o sedentaria. Sono semplicemente persone che hanno sperimentato esperienze dandogli senso”. Hanno fatto propria una sorta di “grammatica delle relazioni umane per migliorare le interazioni” a partire da “veri e propri percorsi di indagine sociale: anche parlare di autobiografie è riduttivo”. Quello che vuole dire Aly mi pare chiaro, sono spesso le definizioni a separare e creare distanze e così per esempio, a farci più attenzione, emerge che “badante è un termine poco rispettoso sia per chi viene curato, che per chi cura”: non si bada a nessuno, e non si nota piuttosto quanta solitudine degli anziani italiani emerga e quanto questo lavoro prezioso vada a sopperire un grande “bisogno di raccontarsi”.
Oltre l’editoria migrante. L’altro rischio è che “succede spesso che i migranti vengano circoscritti in determinati argomenti” osserva Aly. Con questa antologia si sono voluti infatti sperimentare nuovi argomenti e nuovi formati: “dalla poesia che mira al cuore al racconto che mira agli occhi”, il tono non è drammatico, come spesso accade, piuttosto è ironico. E la prossima antologia ambirà a un argomento ancora più inusuale: la letteratura erotica. “A scrivere sempre degli stessi argomenti ci si ghettizza da soli” mentre bisogna pensare semplicemente che “uno scrittore è uno scrittore che scrive racconti umani che attraverso la condivisione diventano patrimonio collettivo”. L’importante è “concentrarsi su ciò che unisce” che a ben guardare è molto di più di ciò che divide.
Queenia e l’identità precaria. A conclusione ha parlato Queenia, mamma brasiliana, papà nigeriano, italiana romanaccia doc, che fa parte della rete Rete G2 anche se “non amo definirmi di 1°, 2° o 3° generazione… cresci in un paese che è tuo, contribuisci attivamente a esso e ogni anno devi rinnovare il permesso di soggiorno, 200 euro all’anno, un problema economico oltre che identitario. Io voglio andare a votare! E invece penso che non sono abbastanza italiana per la legge, che da domani potrei ritrovarmi fuori casa”. Lei è l’autrice di una “Consapevolezza”, nata una sera che stava lavando i piatti, che si conclude così:
…vivere nel mio paese con un permesso di soggiorno
è come dover uscire da casa (mia) e pensare a
chiudere il gas,
abbassare le serrande,
spegnere le luci,
ma lasciare accostata la porta avendo paura di non poter rientrare più.
Alice Rinaldi
(31 marzo 2011)