Si è tenuto venerdì 1 aprile nella sede di Intersos l’incontro dell’Osservatorio Balcani e Caucaso per discutere sul rapporto tra religione, pluralismo ed islam in Turchia. Nell’occasione è stato presentato il documentario Il leone e la gazzella di Fabio Salomoni e Davide Sighele dedicato agli aleviti, una particolare e poco conosciuta etnia turca che ha un approccio differente all’islam, pur condividendone alcuni tratti.
Durante l’incontro è emersa un’immagine della Turchia distorta, vista – dice Fabio Salomoni, sociologo e ricercatore della Koc universitesi di Istanbul – con “prospettive specifiche che trascurano la complessità del mondo islamico. Guardare gli aleviti – aggiunge Salomoni – è conoscere le relazioni tra mondi diversi”, questa è la complessità etnica della Turchia. La “minoranza” alevita, stimata in 10 milioni di persone su una popolazione complessiva di 70 milioni, è composta da turchi, ma anche curdi e rom. Oggetto in passato di sospetto e discriminazione dalla comunità sunnita, che rappresenta il 90% della popolazione turca, gli aleviti hanno portato le loro rivendicazioni – sostanzialmente la libertà di culto e la tolleranza della loro diversità – all’Unione Europea.
Per gli aleviti la religione è intesa come ricerca individuale ed interiore, ed è praticata in maniera differente rispetto la liturgia della maggioranza sunnita. Sono tolleranti con l’alcol, non celebrano la loro fede nelle moschee ma in spazi chiamati cemevi (casa della comunità) in cui possono partecipare congiuntamente donne e uomini. Musica e danza hanno un ruolo fondamentale nelle cerimonie, il che, per l’importanza della tradizione orale nella conservazione e trasmissione del patrimonio teologico e rituale della comunità, ne rispecchia l’origine nomade.
L’iconografia legata ad Hacibektas, il santo da loro venerato – e la cui tomba è frutto di numerosi pellegrinaggi – è suggestiva: egli tiene in braccio un leone ed una gazzella – di qui il titolo del documentario – preda e predatore che convivono senza nuocersi reciprocamente. Uno dei motti del santo è “non avere paura, il lupo non ti mangia. Preoccupati piuttosto di diventare un essere umano”.
Il modello proposto dalla Turchia – dice Marco Zucconi, professore di relazioni internazionali dell’università di Princeton – è un misto di Islam e democrazia, e rappresenta un riferimento pluralista per il mondo islamico, nonostante il fattore religioso sembri distorcere l’immagine del paese compromettendone il processo di integrazione con l’Europa. Lo studioso descrive due rivoluzioni che, a partire dal 1995, hanno investito la società turca. La prima interna, caratterizzata dallo spostamento di un elevato numero di persone dalla periferia – di stampo meno progressista – alla città, dove la dissoluzione di legami sociali di tipo rurale ha portato gli individui a riscoprire il ruolo di religione ed etnia come fattori identitari, influendo sulle scelte di voto. Il secondo quello che ha visto l’ascesa del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) di Erdogan – al governo da quasi dieci anni – e la candidatura all’ingresso nell’Unione europea cominciato nel 1999, che prevede un’armonizzazione della normativa interna con quelle dell’Unione stessa.
Davide Bonaffini
1 aprile 2011