Si è tenuta nella mattina di giovedì 27 ottobre presso il Teatro Orione – zona piazza Re di Roma – e in contemporanea in altre 29 città in tutte le regioni, la presentazione del ventunesimo Dossier Statistico Immigrazione della Caritas e della Fondazione Migrantes, rapporto realizzato in collaborazione con organizzazioni internazionali, strutture pubbliche e mondo sociale.
Dati statistici Da quanto emerso dagli studi, la presenza di immigrati regolari in Italia si aggira intorno ai 4,5 milioni, cui vanno aggiunti circa 400 mila individui non ancora registrati all’anagrafe, con un aumento di oltre 335 mila residenti rispetto al 2009. In 65 mila hanno acquisito la cittadinanza, 21 mila i matrimoni misti, 650 mila i minori di seconda generazione. Nelle scuole, l’incidenza di studenti stranieri ha raggiunto il 7.9%, nelle università il 3.6% del totale. Positivi i dati nel mondo dell’occupazione, con una forza lavoro del 10% a fronte di un 7.5% nella popolazione, mentre i titolari d’impresa sfiorano quota 230 mila. Tuttavia si registra anche la scadenza di 684.413 permessi di lavoro, “non è colpa solo della crisi, ma anche delle disposizioni legislative”, afferma Franco Pittau, coordinatore del Dossier Statistico Immigrazione, “il periodo della ricerca per un posto di lavoro è stato portato da un anno a sei mesi e trovarne uno non in nero di questi tempi è difficile”. Questa politica di rotazione non è funzionale agli interessi dell’Italia: “in Germania, dove pure veniva attuata, si sono pentiti e hanno puntato decisamente su un sistema di integrazione, investendo molte risorse sui nuovi cittadini.” Un punto su cui ci sono ancora diffidenze da superare è l’aprirsi ad una società multiculturale, “bisogna unire senza confondere e distinguere senza separare, questo sarebbe il massimo della politica. Gli immigrati non vanno visti come un pericol ma vanno considerati un aiuto per andare incontro al futuro. È anche vero che se qualcuno dicesse che l’immigrazione non crea problemi sarebbe fuori dal mondo, e questo aspetto va affrontato.”
Il punto di vista degli immigrati A dare voce agli stranieri in Italia, Amara Lakhous, scrittore di origini algerine, noto per il successo Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, da cui è stato tratto un film. Lasciato il suo paese nel 1995 con lo status di rifugiato, Lakhous è stato anche immigrato “normale” tra il 2003 e il 2008, anno in cui ha ottenuto la cittadinanza italiana. “Anche adesso vengo considerato scrittore immigrato e questo mi fa piacere, perché ho avuto la fortuna di avere due vite, la seconda con la possibilità di fare moltissime scelte”. Nei primi anni nel nostro paese ha lavorato presso l’associazione di volontariato Casa dei Diritti Sociali, grazie alla quale, in un incontro organizzato dal Comune di Roma sui centri di accoglienza, è venuto a conoscenza di don Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas Diocesana di Roma. Punto di raccordo tra i due, il trovare assurda nelle emergenze la distinzione tra regolari e clandestini. “Dopo la promulgazione della legge Bossi-Fini nel 2002 è molto facile diventare clandestini: è stato ridotto da quattro anni a due anni il periodo di tempo per rinnovare il permesso di soggiorno.” In questi anni, per Lakhous, è stata eliminata ogni traccia di umanità e solidarietà: “Ho parlato con dei pescatori di Mazara del Vallo, se si soccorrono persone in mare si rischia di essere denunciati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Si obbliga così a violare un principio antico, fondamentale, di assistenza. C’è un proverbio arabo che recita ‘oggi è a tuo favore, domani è a tuo sfavore’. Una conferma, ironia della storia, sono i tanti veneti che in passato sono emigrati in Romania per lavorare nel settore delle costruzioni, oppure nel Lazio e nel meridione durante il fascismo”. Il problema di fondo è che “si vogliono considerare gli immigrati come uccelli di passaggio, quando le statistiche dimostrano che invece vogliono rimanere, mandano i figli a scuola, accendono mutui. È come non voler vedere la realtà”, dice riallacciandosi alla critica del sistema di rotazione espressa da Franco Pittau.
Il punto di vista delle comunità ecclesiastiche “Nell’elenco di cose che non vanno, in questo periodo di crisi, molti includono l’immigrazione, considerata un appesantimento per un paese già in difficoltà. In realtà sappiamo che è parte della tradizione della nostra gente”, dichiara Mons. Giuseppe Merisi, Presidente della Caritas Italiana, “l’impegno concreto di solidarietà a partire dagli ultimi deve ispirare l’esercizio quotidiano dei cristiani. Il messaggio più caro della nostra fede è quello della solidarietà, da intendere come anima della convivenza sociale.” La lettura del fenomeno serve a sottolineare l’interconnessione con le culture degli altri paesi, aiutando a non classificare per differenze somatiche, di lingua e tradizioni “i nuovi venuti ad un rango inferiore, evitando l’accondiscendenza ad atteggiamenti xenofobi e razzisti. L’obbiettivo è raggiungere l’incontro e il dialogo anche tra le diverse religioni”.
Il punto di vista degli Enti Locali “Spesso i singoli comuni si sono mossi più per propaganda, pensando che la questione immigrazione potesse essere una leva su cui ottenere consenso” è il pensiero di Flavio Zanonato, sindaco di Padova e Delegato Anci – Associazione Nazionale Comuni Italiani – per l’immigrazione. Distorsioni che hanno presentato il ricevimento dei flussi come segno di solidarietà verso paesi più sfortunati e non come risorsa. Per valorizzarne il potenziale, bisogna “attuare un sistema complessivo. Si sono mosse parecchie realtà, i sindacati, l’associazionismo volontario, le parrocchie, la scuola dell’obbligo e molte amministrazioni locali. È mancata una organica politica nazionale.” Non solo prima accoglienza, ma inserimento e formazione professionale, per giungere ad una reale integrazione: “la grande preoccupazione dei comuni è che questa attività cessi o si riduca drasticamente perché non arrivano fondi”. A sostegno di queste misure servirebbe anche un riconoscimento dei diritti politici, come il voto almeno a livello amministrativo, “per la creazione di un tessuto democratico nella comunità degli immigrati, che consenta loro di interfacciarsi con il sistema sociale. Questo meccanismo avrebbe effetto biunivoco, a vantaggio di entrambe le parti”. Le seconde generazioni sono destinate a crescere, non è immaginabile pensare che “non abbiano gli stessi nostri diritti. Abbiamo lo ius sanguinis perché proteggevamo con questo impianto i nostri migranti” in modo da conservarne la cittadinanza italiana. “Ma i paesi di immigrazione hanno tutti lo ius soli, per cementare la comunità, non farla deflagrare. Chi nasce in Italia è italiano, bisogna arrivare a questo risultato. È uno strumento potentissimo di integrazione, per costruire un atteggiamento di confronto tra diverse culture a partire dalla stessa famiglia di origine”.
Gabriele Santoro(27 ottobre 2011)