Il mondo musulmano si prepara a celebrare domenica 6 novembre la Festa del Sacrificio, Id al-adha, uno dei due momenti più importanti della vita religiosa insieme alla rottura del digiuno alla fine del Ramadan, id al-saghir. Cade intorno al decimo giorno del dodicesimo e ultimo mese lunare, Dhu i Hijja e culmina con il pellegrinaggio canonico, quinto pilastro dell’islam. Il nome della festa rievoca, con qualche piccola differenza, l’episodio descritto nell’Antico Testamento in cui Ibrahim (Abramo) venne fermato dall’angelo mentre era sul punto di immolare per ordine divino il primogenito Isma’il (Isacco nelle altre due religioni monoteiste), al cui posto fu sacrificato un montone.
Nella Grande Moschea di Roma sono previsti tre turni di preghiera, alle 8.30, 10.30 e 11.30. A seguire il pranzo festivo, momento di grande socialità anche se viene effettuato nelle abitazioni private e non negli spazi messi a disposizione per l’intera comunità come nella rottura del digiuno del Ramadan. Sarà presente anche un banchetto della nostra associazione Piuculture con striscioni e volantini per promuovere corsi di italiano L2 della rete Scuolemigranti nel territorio e non, in particolare per le donne. È prevista un’affluenza record di “30-40 mila persone” secondo Omar Camiletti del Centro Islamico Culturale, perché quest’anno l’Id al-adha cade di domenica, giorno non lavorativo. Per evitare sovraffollamenti, anche a Piazza Vittorio ci saranno numerose sale di preghiera, in particolare per i bengalesi, così come nell’asse di Roma ovest Magliana-Laurentina, a prevalenza egiziana.
G2 Anche tra i ragazzi di seconda generazione questa festività è molto sentita, “la partecipazione rafforza l’identità, la globalizzazione comporta un confronto nel quale ognuno riscopre la propria appartenenza”, prosegue Camiletti, “quando non c’era molta immigrazione si finiva con l’essere assimilati dalla cultura del paese dove ci si trovava, dagli anni ’80 è riemerso un forte senso del sacro e della religione. I g2 vivono la sfida del nuovo islam, più spirituale e meno basato sulle consuetudini, meno meccanico”.
Il pellegrinaggio e la sua evoluzione storica Il quinto pilastro dell’islam obbliga almeno una volta nella vita, chi sia in grado di affrontare economicamente e fisicamente il viaggio, al pellegrinaggio (hajj) alla Mecca nel mese di Dhu i Hijja. Percorso che per i costi e le difficoltà presenti fino agli sviluppi del trasporto aereo veniva compiuto in età avanzata, dopo aver messo sufficiente denaro da parte. Altro fattore in grado di cambiare lo scenario è stato la scoperta del petrolio dagli anni ’40 e l’arricchimento derivato, che ha permesso un piano di riordinamento urbanistico della città, della Kaaba e della moschea sacra Masjid al-Haram. Se agli inizi degli anni ’50 i pellegrini erano circa 150 mila, oggi arrivano a sfiorare i cinque milioni. Ogni paese musulmano, per motivi logistici, può inviare una quota prestabilita di fedeli, in base al numero di abitanti. Ma queste restrizioni sono facilmente aggirabili per chi si muove via terra dagli stati limitrofi, rendendo impossibile un conteggio preciso. Tra gli accorgimenti presi dall’Arabia Saudita per non andare completamente in tilt, il divieto di spostarsi con mezzi privati nella zona, un tunnel che collega direttamente la città ai luoghi del pellegrinaggio e il progetto di una linea della metropolitana.
I riti tradizionali prevedono sette giri intorno alla Kaaba e altrettanti sulle colline dove Isma’il, secondo le scritture, trovò una sorgente d’acqua nel deserto. Bisogna poi recarsi presso il monte Arafat, luogo del sacrificio celebrato, e a Mina, attrezzata con tendopoli, dove si compie la lapidazione del demonio, rappresentato da tre steli cui ogni fedele scaglia sette pietre. Le resse in passato hanno causato incidenti e morti, inducendo le autorità locali ad allargare il percorso e le stesse colonne da colpire. Infine il sacrificio vero e proprio, oramai non sempre rispettato alla lettera per evitare mattanze e in molti casi rimpiazzato da una donazione simbolica per l’acquisto di un animale, il cui ricavato viene ridistribuito tramite associazioni benefiche tra i più bisognosi. Nel rituale tradizionale, lo sgozzamento avviene con il metodo halal, facendo defluire tutto il sangue, impuro ed immangiabile, pronunciando il takbir, la formula “nel nome di Dio! Dio è il più grande!”.
Gabriele Santoro(3 novembre 2011)