Quante sono le razze umane? Quattro, sei, sette, centinaia o forse una? Con questa domanda si è aperto lunedì scorso il primo incontro della terza edizione di Libri Come, festa del libro e della letteratura promossa dalla Fondazione Musica per Roma. In questo primo appuntamento il professore e genetista Guido Barbujani ha spiegato ai ragazzi delle scuole medie presenti le debolezze e le incongruenze del concetto di razza, sottoponendo gli studenti ad un breve esperimento empirico.
Memoria e scienza Fin da Platone ed Aristotele l’uomo per distinguere gli “altri” dai propri simili ha utilizzato pregiudizi e stereotipi, ma solo negli ultimi tre secoli si è passati ad un’analisi attenta del concetto di razza, che però non ha dato un’unica e certa risposta. Si iniziò a parlare di razzismo dal XVIII secolo, a seguito delle scoperte geografiche e del periodo di intensa colonizzazione che coinvolse l’Europa. Furono elaborate delle teorie apparentemente scientifiche attraverso le quali si tentava di trovare nella genetica la ragione dell’inferiorità sociale e la giustificazione delle imprese coloniali, compiute in nome di una civilizzazione dei popoli sottomessi.
Per Linneo (1707-1778), naturalista svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, le razze umane erano quattro: homo europaeus, asiaticus, afer, americanus. Georges-Louis Leclerc (1707-1788) aggiunse la razza australiana e tartara. “Successivi scienziati hanno fatto altre distinzioni fino ad arrivare a più di cento razze. Solo negli anni sessanta del secolo scorso l’antropologo Frank Livingston arriva a negare l’esistenza delle razze affermando, invece, la biodiversità, intesa come un continuo di differenze tra le persone senza salti o fratture” ha spiegato Barbujani. Per far capire meglio quest’ultimo concetto il professore ha sottoposto 10 alunni ad un interessante esperimento.
Il gioco A due gruppi di studenti, composti ognuno da cinque ragazzi, sono state date 44 immagini di persone provenienti da varie zone dei cinque continenti. Gli alunni hanno dovuto raggruppare le persone che secondo loro si assomigliavano, specificando i criteri adottati. Il risultato è stato che entrambi i gruppi hanno scelto, tra le varie caratteristiche di classificazione, quello della “pelle nera” inserendovi però anche persone dell’Oceania, dell’America centrale, dell’India, della Micronesia. Quindi Barbujani ha chiesto alle classi “cosa abbiamo capito da questo esperimento?” ed un bambino in prima fila ha risposto “che siamo tutti diversi”, il professore si è illuminato “esatto! Siamo diversi e divisi in gruppi che non tutti riconosciamo. Emerge quindi il paradigma alternativo della variabilità continua”. Le differenze genetiche nella specie umana sono tra le più basse di tutti i primati, e la loro analisi spesso smentiscono cose date per ovvie. “Uno studio fatto sul Dna di tre biologi, due americani e un coreano – Watson, Venter e Sij –, ha avuto come risultato che i due americani avevano in comune meno caratteristiche del Dna, quindi il coreano possedeva aspetti intermedi tra i due statunitensi. Ma possiamo spingerci oltre e affermare, grazie a comprovati studi, che in media sono più grandi le differenze genetiche tra due africani, piuttosto che tra due europei e asiatici – e ha aggiunto-. Le due persone, finora studiate, con un più ampia differenza di caratteristiche del Dna vengono dalla stessa zona dell’Africa”.
Come si spiega questo fenomeno? Dobbiamo fare un salto indietro di centinaia di migliaia di anni e analizzare il percorso evoluzionistico dell’uomo, che in questi giorni viene ben illustrato nella mostra al Palazzo delle Esposizioni “Homo sapiens. La grande storia della diversità umana” di cui Guido Barbujani è consulente scientifico. “40 mila anni fa l’Europa era abitata dall’Homo di Neandertal, che poi si è estinto quando la specie che abitava in Africa ha iniziato a muoversi verso l’Europa alla ricerca di cibo, passando per l’odierna Palestina. Quelli di loro che arriveranno da noi e successivamente in Asia e negli altri continenti erano però un piccolo gruppo, per questo le differenze genetiche sono così poche in Europa e così ampie in Africa. Potremmo dire, in conclusione, che siamo tutti africani”.
Melissa Neri
(7 Marzo 2012)
Letture consigliate:
Guido Barbujani e Pietro Cheli, Sono razzista ma sto cercando di smettere, Laterza 2008
Guido Barbujani, L’invenzione della razza, Bompiani, 2006
Guido Barbujani, Europei senza se e senza ma, Bompiani, 2008
Sen Amartya k., Identità e violenza, Laterza, 2008
Marco Aime, Eccessi di culture, Einaudi, 2004