“Per gli adulti che devono imparare l’italiano va fatto un discorso diverso rispetto ai bambini”, spiega Anna Crisi, socia Piuculture che il giovedì dalle 14.30 alle 16, insieme alle altre due volontarie Elisa Perri e Simona Scacchi, insegna la nostra lingua ai genitori degli alunni stranieri della elementare Principessa Mafalda. “Altri corsi hanno un’organizzazione semiscolastica, dove la frequenza è fondamentale. Noi cerchiamo di offrire un servizio sperando che loro vengano e apprendano, quando hai di fronte lavoratori devi essere elastico per cercare di fare il possibile, anche per il tipo di orario che questo istituto può offrire. Per questi motivi non possiamo parlare di un canonico anno di lezioni, con inizio, fine e programma stabilito da svolgere”.
L’accordo di integrazione Dal 10 marzo è in vigore l’accordo di integrazione, previsto dall’articolo 4 bis del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione, che attribuisce ai cittadini stranieri almeno sedicenni, per la prima volta nel nostro paese, 16 crediti di base. Perché i migranti possano rimanere nel territorio, entro due anni dovranno raggiungere quota 30, attraverso l’apprendimento della lingua, nozioni di educazione civica, accesso al sistema sanitario nazionale, corsi professionali e titoli di studio. “Fortunatamente i nostri allievi ultimi arrivati non rientrano in questo ordinamento”, commenta Anna Crisi. “Può anche andar bene che lo Stato pretenda determinate conoscenze, ma poi fa poco per mettere a disposizione degli interessati delle strutture apposite. Ci sono i Ctp – centri territoriali permanenti – ma questi non sono in grado di assorbire la vasta domanda”.
Il corso Sono in sei a seguire le lezioni, suddivisi in due sottogruppi, uno per chi ha un livello più avanzato, con mamme provenienti dall’Ucraina, agli Stati Uniti e dalle filippine, l’altro per gli arrivati da poco in Italia, formato da due genitori dello Sri Lanka e uno delle Filippine. “Con i primi facciamo un lavoro di rifinitura”, continua Anna Crisi, “riescono a farsi capire, pur con delle lacune da colmare. I secondi hanno maggiori difficoltà, chi viene dallo Sri Lanka non ha dimestichezza con i caratteri latini, ma per fortuna sa un po’ di inglese. Con loro partiamo dalla conoscenza base del lessico, per fargli imparare le parole di uso quotidiano, come i giorni della settimana, i mesi, o vocaboli utili per presentarsi o fare la spesa”.
L’uso di testi specifici è ridotto, “portiamo materiale di volta in volta, come fotocopie”. Le volontarie applicano un turn-over interno, “stare in tre per due gruppi sarebbe controproducente, ci alterniamo tenendoci in aggiornamento su cosa è stato fatto la lezione precedente, c’è un percorso ma non un vero e proprio programma”, dicono all’unisono. “Non c’è nemmeno una suddivisione fissa su chi seguire, anche su questo ci affidiamo alla rotazione. Per il livello base gli esercizi sono più di lettura e scrittura, con gli altri si fa anche un po’ di conversazione, con un linguaggio semplice, ad esempio evitando le subordinate”. Poi i compiti a casa, per ripassare e valutare se si è appreso quanto fatto nell’ora e mezza, “a volte chiediamo ai figli di controllare che i genitori li svolgano!”, ironizzano.
Le volontarie Anna Crisi ha già avuto un’esperienza nell’istruzione, italiano e storia alle superiori, prima di diventare consulente nel monitoraggio e valutazione dei progetti formativi, “ma il mio passato non mi ha agevolato, sono i docenti di lingue straniere o le maestre che potrebbero avvantaggiarsi del proprio lavoro”. Elisa Perri sta invece cercando di accumulare le 150 ore necessarie per accedere all’esame di abilitazione per l’insegnamento dell’italiano agli stranieri: “a luglio dovrei farcela. Ora non è più sufficiente la laurea in lettere, sono cambiate le tecniche, serve anche una formazione completa in didattica e pedagogia”. Simona Scacchi è già una professionista, con un corso e 200 ore già svolte: “al momento sono disoccupata e mi tengo in allenamento, sto qui da circa un mese, lo scorso anno ho fatto qualcosa del genere, con lo stesso tipo di utenza”. Esperienze di verse unite dalla volontà di rendere l’italiano accessibile agli stranieri che hanno scelto di vivere e lavorare nel nostro paese.
Gabriele Santoro(13 aprile 2012)