Il mundial dimenticato

La locandina del film

Patagonia, 1942. Mentre l’Europa è devastata dalla Seconda Guerra Mondiale, che ha causato l’annullamento della coppa del mondo di calcio, all’epoca intitolata a Jules Rimet, il conte Otz, un nobile idealista, decide di svolgerne un’edizione alternativa in una zona lontana dagli echi del conflitto. Questo lo spunto, tratto dal libro dello scrittore e giornalista argentino Osvaldo Soriano Il figlio di Butch Cassidy, che ha ispirato il film Il mundial dimenticato di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni, coproduzione italo-argentina, presentato il 30 maggio alla Casa del Cinema e dal 1 giugno in uscita nelle sale.

Dove tutto diventa possibile Seguendo lo stile mockumentary (dalla fusione di mock, fare il verso, e documentary) – per intenderci alla Zelig, di Woody Allen – la storia parte dal ritrovamento di uno scheletro con una macchina da presa negli scavi di Villa El Chocon, nella Patagonia argentina. Si tratta dei resti di Guillermo Sandrini, cineoperatore, mentre la pellicola contiene le inedite immagini della finale del mondiale del ’42, di cui si era persa ogni traccia. Chi era riuscito a conquistare la coppa, tra l’Italia degli operai al lavoro per la costruzione di una diga, l’Inghilterra del fair play, la Germania che ha inviato soldati nazisti a scopo propagandistico, capitanata dal bomber con gli occhiali Kramer, e la formazione di indigeni locali Mapuche, con il portiere ipnotizzatore Nahuelfuta? Il tutto reso ancora più surreale da un arbitro di eccezione, William Brett Cassidy, figlio del noto bandito Butch, e da interviste concesse da personaggi dello sport del calibro di Roberto Baggio, Gary Lineker, l’ex presidente Fifa Joao Havelange e molti altri, che si alternano a filmati – alcuni realmente d’archivio, altri ricostruiti – proprio seguendo lo schema classico documentaristico, alternando toni da indagine a grande ironia.

I due registi, a sinistra Lorenzo Garzella, a destra Filippo Macelloni

La campagna di lancio ha giocato molto sul dubbio se si trattasse di una storia vera o meno, come il video in cui il portiere della nazionale Buffon confessa di ispirarsi al metodo Mapuche per parare i rigori, utilizzando altri testimonial come Fabio Caressa, telecronista di Sky e l’ex campione Josè Altafini, ora commentatore. O lo sketch della versione giapponese del quiz “Chi vuol essere milionario”, dove il concorrente arrivato alla domanda finale protesta perché la sua risposta “Patagonia” alla domanda su dove si fossero svolti i mondiali del ’42 non viene accettata, chiedendo a chi avesse le prove di fornirgliele.

“L’idea è nata nel 2005 dopo aver letto il libro di Soriano” dichiarano i registi. Un anno dopo ci siamo recati in Argentina, per scegliere le ambientazioni giuste e video di repertorio, sugli stadi pieni o su alcune partite dell’epoca, che danno un senso di verità. Poi le abbiamo integrate con alcune ricostruzioni, ci sono voluti un paio di anni. Ma il mix è venuto bene, tanto che l’Istituto Luce e il corrispettivo argentino, l’Incaa, non riuscivano a distinguere gli originali per il calcolo del minutaggio da pagare. Di nascita siamo documentaristi, riteniamo che il calcio nella fiction venga fuori posticcio, ecco perché abbiamo scelto questo stile. Ma il film vira anche su tematiche sociali, come l’immigrazione e la causa dei Mapuche, e su intrecci affettivi”, riferimento alla contesa che viene a crearsi per la figlia del conte Otz, di origine ebraica, tra Kramer, combattuto tra i sentimenti e la dottrina nazista, il portiere Nahuelfuta che sembra uscirne vincitore e l’operatore con idee visionarie Sandrini. “In un certo senso è il film della mia infanzia”, aggiunge Lorenzo Garzella, “degli stereotipi e della mitologia del calcio che affascinano sin da bambini, con il bomber, il buono, il cattivo, l’amore”.

“È una grande soddisfazione vedere il film nelle sale”, afferma Daniele Mazzocca, co-produttore. “Speravamo di essere pronti nel 2010, prima dei mondiali, ma ce la giocheremo con l’uscita nella free tv per i campionati del 2014, che saranno proprio in Sudamerica, in Brasile. Si è trattato di un prodotto veramente low cost, in totale circa 800 mila euro, la metà dei quali finanziati dal Ministero dei Beni Culturali e da Rai Cinema”. “All’inizio pensavo fosse una storia accaduta realmente”, confessa Ana Emilia Sarrabayrouse, addetto culturale dell’ambasciata argentina. “Comunque per noi all’estero è sempre bello rivedere le nostre terre. Abbiamo molto da condividere, la sfida di una produzione congiunta è importante, ne aspettiamo altre”.

Gabriele Santoro(31 maggio 2012)

http://www.youtube.com/watch?v=IDNNF_AaGBs