Il 1° gennaio 2011, in Italia, il numero degli stranieri ammontava a 4.570.317 di cui 3.563.062 erano extracomunitari. Le comunità provenienti dall’ America latina, con 354.186 persone, rappresentavano circa l’8% del totale. Dato da non sottovalutare visto che l’immigrazione latinoamericana in Italia è relativamente recente, poiché iniziata nei primi anni ‘90. Nonostante si tratti di un insediamento eterogeneo, le principali collettività presenti in Italia sono quelle andine, specialmente peruviana (101.711) ed ecuadoregna (85.518), seguite da quelle brasiliane, colombiane, cubane, argentine e boliviane. Dopo una forte crescita iniziale, il numero imponente di arrivi è cessato, tanto che oggi in Italia si parla dei latinoamericani come di una subcultura “stabile”, sostanzialmente giovane e con un’alta percentuale femminile. Il CeSPI, l’OIL, l’IILA e il Ministero per la cooperazione internazionale e l’integrazione ne hanno voluto parlare attraverso “Percorsi d’integrazione della comunità latinoamericana in Italia”, una pregevole iniziativa presentata nella splendida cornice della sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. E’ stata l’ occasione per fare il punto della situazione, evidenziando i pregi ma anche i difetti che accompagnano questo turbolento percorso di integrazione.La prima voce critica è quella di Reyna Victoria Terrones Castro. Pur riconoscendo l’importanza dell’integrazione, la Vicepresidente della Confcooperative di Roma vorrebbe di più, vorrebbe un’ inclusione che rispettasse a fondo i principi di uguaglianza e pari opportunità. “Perché una persona che nel proprio paese ha preso, per non dire conquistato, la laurea in Ingegneria, Giurisprudenza e Medicina, una volta giunto in Italia si dovrebbe accontentare di fare il magazziniere o la colf? Perché l’Italia non riconosce i titoli di studio di alcuni paesi, se non solo dopo 5-6 anni? E’ evidente che, trascorso questo tempo di attesa, si è fuori dal mercato del lavoro, la tua età non coincide più con le esigenze del business moderno”. E conclude: “ Mi piacerebbe poter tornare in questa sala tra dieci anni ed elogiare l’Italia per come ha saputo valorizzare il capitale umano proveniente dall’estero. Sarei contenta di sapere che medici boliviani abbiano salvato pazienti italiani, che avvocati brasiliani abbiano vinto importanti cause nazionali o che ingegneri venezuelani abbiano contribuito a realizzare futuristici progetti.“Si all’integrazione economica” prosegue Enrico Cicchetti, Rappresentante della commissione per la cooperazione ACRI. “E’ necessaria anche un’ inclusione finanziaria” sottolinea Josè Gonzales Cruz, direttore del giornale Guialatina. C’è unanimità di consensi e di vedute negli interventi che si susseguono nel corso della giornata. A ribadire il concetto già espresso sul tema sono utili i grafici e le statistiche di Valeria Benvenuti, Ricercatrice della fondazione Leone Moressa. Emerge che il fenomeno di integrazione economica sia ancora un processo in fieri e sostanzialmente disomogeneo. La disoccupazione nella comunità latinoamericana in generale ha raggiunto il 12%, con picchi altissimi in quella cubana , mentre si affievolisce in quella boliviana. Forti discrepanze si riscontrano anche nella dichiarazione dei redditi che per gli argentini risulta essere al di sopra di 18.000 €, molto al di sotto dei 10.000 € per i domenicani. Tema altrettanto centrale è quello delle rimesse, ovvero i soldi che gli immigrati guadagnano in Italia e che spediscono nel loro paese: si stima che il loro valore annuo sia pari a 867 milioni , ma secondo la Banca Mondiale, se si prendesse in considerazione tutto ciò che è difficilmente tracciabile, la cifra potrebbe raddoppiare: 1.734 miliardi! Cifre da capogiro che fanno riflettere anche Natale Forlani, Direttore Generale di Immigrazione, Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali: “ E’ evidente il beneficio che l’ economia italiana trae dall’impegno, dalla flessibilità di adattamento e dall’intraprendenza lavorativa di queste persone. Queste lavoratori hanno il pregio di accettare i mestieri più disparati. Senza la presenza della comunità latinoamericana molte attività rimarrebbero scoperte poiché nessun italiano sarebbe disposto a fare lavori considerati umilianti, quali in realtà non sono. L’unica conseguenza sarebbe quella di aumentare la disoccupazione reale nel paese, che probabilmente raddoppierebbe.”“Senza inclusione non c’è crescita”, tuona Andrea Riccardi, ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione. “In Italia, invece, si è consolidata negli anni la convinzione che l’inserimento culturale sia un male da fuggire o, se impossibile, da osteggiare. Parole come immigrazione, extracomunitario, straniero sono divenute sinonimo di pericolo. Questa forma mentis si è trasmessa dalla classe politica alla società civile: la prima è stata ostaggio di policy maker nazionaliste, la seconda, invece, è stata indottrinata e “bombardata” dall’ostracismo dei mass media.” Riccardi sottolinea come tutto questo non abbia senso e per dimostrarlo entra nel tema della giornata:” Prendiamo, ad esempio, i latinoamericani. Questa comunità è quotidianamente a contatto con la famiglia italiana e di conseguenza vive nel cuore del sistema italiano. Gli uomini generalmente sono impiegati nel settore dei servizi, le donne in quello domestico, spesso come colf e badanti. Il loro lavoro è di importanza capitale per l’economia italiana.” Il ministro evidenzia anche l’incidenza sociale di questa collettività, sottolineando che il 60% dei latinoamericani residenti in Italia è nato proprio nel nostro paese e che, prendendo in considerazione tutti i matrimoni misti della penisola, il 14% è formato da coppie italo-latinoamericane. E conclude:” se questo è vero, che senso avrebbe disperdere un così prezioso capitale umano ed economico come in passato è stato fatto? Che senso ha osteggiare questi flussi di immigrazione?” Domande retoriche a cui dal pubblico un signore sente la necessità di dare una risposta: “Nessuno, nessuno”.
Alessandro Ferretti
(10 ottobre 2012)