L’intesa Stato ed induismo, uno strumento di conoscenza

E’ entrata in vigore dall’11 dicembre 2012, e poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 1 febbraio 2013,  l’attesa legge che regola i rapporti tra lo Stato Italiano gli induisti ed i buddisti. L’articolo 8 della Costituzione Italiana sancisce infatti che:

“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.”

Avvocato Franco di Maria, presidente dell’Unione induista italiana

Fino ad oggi i 136.000 induisti in Italia, di cui 20.000 italiani non vedevano riconosciuta la loro religione con conseguente mancata possibilità di avere una sepoltura religiosa, di poter usufruire di assistenza spirituale e di avere un riconoscimento dei luoghi di culto da parte dello Stato. In loro rappresentanza c’è l’Unione induista italiana, il cui presidente, Franco di Maria, commenta così questo avvenuto  riconoscimento “sono diverse le ragioni per le quali siamo estremamente soddisfatti di questo risultato, innanzitutto per l’autorevolezza che l’intesa ci aiuta a consolidare in quanto induisti, permettendoci di far conoscere la nostra cultura e la nostra religione.”

Numerose le incomprensioni che sono diffuse in Italia, e non solo, circa la religione induista, ed è un’altra delle motivazioni per la quale gli induisti italiani si sono costituiti unione confessionale ed hanno ricercato il riconoscimento del 1 febbraio. “C’è una visione accademica dell’induismo secondo la quale esso viene trattato e considerato esclusivamente come oggetto di studio e di analisi, e non piuttosto come una religione pulsante da comprendere, ma soprattutto da vivere.” La convinzione dell’avvocato Di Maria è che la conoscenza tra religione e persone porti alla stima e conseguentemente al rispetto reciproco.

Lo yoga non è stretching. “E’ vergognoso che chi insegni yoga non conosca la disciplina che pratica. Si può senz’altro fare yoga senza essere induisti, ma quantomeno conoscerne il substrato culturale e soprattutto religioso, che fa appunto riferimento alla religione induista, mi pare il minimo”.  Secondo Di Maria i presunti insegnanti di yoga si dividono in due categorie “coloro che fanno solo stretching e quelli che inventano tecniche che non esistono.” I secondi diffondono così un’errata visione dell’attività e pertanto “intendiamo riportare con garbo e fermezza alla realtà autentica dello yoga.”

Complesso dello Svami Gitananda Ashram nel savonese

Gli stranieri e il riconoscimento. Uno degli obiettivi che si intende  conseguire con l’intesa tra Stato e religione induista è quello di diffondere la conoscenza dell’induismo anche presso gli stessi stranieri che giungono in Italia, “molti sono bengalesi e spesso conoscono pochissimo della loro variegata cultura”. Questo riconoscimento porterebbe, grazie ai fondi destinabili con l’8 x 1000, anche alla possibilità di costruire templi dedicati al culto, che diventino anche luoghi di ritrovo per stranieri “magari allo scopo di organizzare corsi per insegnare loro i diritti che gli spettano, dei corsi d’italiano, insomma attuare delle iniziative che ne favoriscano l’integrazione”. Ad oggi il tempio di riferimento per gli induisti si trova nel savonese.

L’intesa tesse così una trama di progetti a molteplici livelli, nella consapevolezza che “il mondo e noi stessi siamo molto più complessi di come appariamo. Possediamo delle straordinarie potenzialità ancora inespresse”. Ed il dialogo interreligioso è anche mettere in comune queste capacità.

Piera Francesca Mastantuono

(20/03/2013)