Nemmeno il G8 sta riuscendo a venirne a capo. Nella dichiarazione relativa al futuro della Siria del 18 giugno, praticamente contemporanea alla presentazione del libro “Syria, quello che i media non dicono”, di Raimondo Schiavone, Alessandro Aramu e Talal Khrais, giornalisti con una certa esperienza del paese mediorientale, i leader dei paesi più industrializzati non hanno neppure nominato l’attuale presidente Assad, sulla cui successione c’è discordia, riferendosi più genericamente all’impegno per “raggiungere una soluzione politica alla crisi basata sulla visione di una Siria unita, inclusiva e democratica”, ripristinando “i servizi pubblici”, cioè forze militari e di sicurezza.
Il presupposto di partenza del volume dei tre reporter è combattere la semplificazione che è stata proposta dai mezzi di comunicazione occidentali e non solo, vedi Al Jazeera, nel tracciare una lotta fra buoni e cattivi – o meglio il cattivo – “i media sono orientati dai proprietari padroni del mondo”, sostiene Raimondo Schiavone. “Il processo di democratizzazione è una fase necessaria, ma non va vista con gli occhi degli occidentali, con i nostri parametri”.
La miopia della politica italiana e internazionale “L’Italia non ha più una sua politica estera, è solo la coda degli Stati Uniti”, lamenta Talal Khrais, di origine libanese. In questo contesto può inserirsi l’incidente di circa un anno fa, quando una delegazione di parlamentari siriani fu invitata dalla federazione Assadakah – Centro Italo Arabo del Mediterraneo, di cui i tre fanno parte – per un dialogo sulla pacificazione del paese, salvo poi essere respinta per la non concessione del visto da parte dell’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi. “Al momento l’unico che parla di diplomazia e di farla finita con le interferenze straniere è Putin”, che con ogni probabilità non vuole lo stesso trattamento per situazioni legate a zone appartenenti alla Russia che cercano l’autonomia.
Già, le interferenze straniere Per Khrais la grande maggioranza di chi combatte contro il regime non è siriana, non farebbe parte della popolazione, “sono provenienti dall’Asia centrale, Cecenia, Turkmenistan, Afghanistan, (vedi anche Giuliano ‘Ibrahim’ Delnevo, il genovese convertito all’islam ucciso pochi giorni fa, ndr) finanziati da Qatar e Arabia Saudita. E la gente vede nell’esercito chi può cacciare gli stranieri”. Intanto la stampa internazionale nasconderebbe le violenze perpetrate dai ribelli, come la strage di Hula, dove persero la vita un centinaio di persone, di cui quasi la metà bambini, inizialmente attribuita alle forze governative ma di probabile matrice jihadista.
Assad come pacificatore? Uno dei timori più diffusi sul dopo-Assad, espresso tempo fa anche dal presidente degli Stati Uniti Obama, è la deriva integralista islamica, unita al fatto che al momento l’opposizione al regime non è organizzata in modo unitario. Secondo gli autori del libro, Assad potrebbe essere l’unico in grado di mantenere una sorta di equilibrio interno.
Forse questo poteva valere prima del conflitto La Siria vede nel suo territorio un mosaico di etnie e religioni, è spesso accaduto che dittatori e governi autoritari abbiano funto in qualche modo da collante, dalla Jugoslavia di Tito fino all’Iraq di Saddam Hussein, dove paradossalmente la divisione tra sunniti, sciiti e curdi in altrettanti Stati federali ha aumentato l’instabilità. Resta però un fatto inconfutabile, come può un presidente che ha causato, da due anni e mezzo a oggi, oltre 90 mila morti tra militari e civili e milioni di rifugiati, essere una garanzia per il suo paese?
Gabriele Santoro
(19 giugno 2013)
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