Sherif Fathy Salem è un regista egiziano, stabilmente in Italia dal 1997, quando è stato assunto dalla rete satellitare araba ART che trasmette dal centro Italia. Produttore e regista di Italiani d’Egitto racconta la passione per il documentario come qualcosa che affonda le sue radici già ne “Il palazzo d’argilla” il suo primo documentario, datato 1993, l’anno prima di laurearsi in cinematografia al Cairo, e dopo aver conseguito, nel 1990, la laurea in architettura. E così, nel 2005, il documentario diventa la base sulla quale costruire Spot1.tv, casa di produzione cinematografica indipendente. La scelta del genere documentario è data , per Sherif “dalla possibilità che questo strumento offre di raccontare ed approfondire”.
Progetti e ritrosie. “Adesso sto lavorando ad un documentario che racconta di Alessandria, delle sue origini e di come esse si siano ramificate nella storia dei secoli e dei millenni a venire”. Tuttavia, sul fermento che infiamma l’Egitto dal 2011 non realizzerebbe un documentario “nel gennaio 2011 ero a piazza Tahir, ho fatto numerose riprese ma non le ho mai montate, c’è troppo di personale in quegli eventi.” Convinto sostenitore del cambiamento post Morsi, Sherif ribadisce che “dietro la costituzione egiziana c’è stata ben poca discussione ed una delle conseguenze è stata proprio l’elezione di Morsi”. L’Egitto così come viene restituito dalle testate mondiali è un Paese che fatica a riprendersi da quanto avvenuto a giugno di quest’anno. “Uno degli errori maggiori compiuti da Morsi è stato mancare alle promesse fatte ai giovani che lo avevano sostenuto in piazza a gennaio del 2011. Ed infatti, è stata proprio quella moltitudine a farlo cadere.” Prosegue poi nell’analisi socio-politica della situazione egiziana elencando alcuni tra i fattori che hanno contribuito in maniera determinante alla caduta di Mohamed Morsi “la conferenza indetta per discutere con i rappresentanti dei diversi partiti egiziani la questione della costruzione della diga sul Nilo e non ha avvisato gli invitati che erano ripresi dalla televisione, le dichiarazioni rilasciate sono state ben poco diplomatiche. In secondo luogo, durante un evento a favore Siria, quando è stata invocata la jihad, ovvero la lotta contro gli infedeli, Morsi non ha proferito parola, il suo silenzio è stato assordante”, si sarebbe così arrivati ad una guerra civile “su base religiosa”.
Attualità, “bisogna cambiare la società e ci vorrà molto tempo”. Sherif ribadisce l’assoluta necessità per l’Egitto di rimanere unito, senza una guerra civile che lo dilani e non entrando in alcuna guerra a sua volta. “Siamo 80 milioni di cittadini da far lavorare, quindi è particolarmente impellente far sì che l’economia riprenda”. Tutto ciò è per lui una premessa imprescindibile “senza la quale non funzionerebbe nessun meccanismo elettorale. Non c’è il dio democrazia, piuttosto il dio paese.” E per raccontare tutto ciò ci sono le sue parole, stavolta senza telecamera.
Piera Francesca Mastantuono
(25 luglio 2013)
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