Peggioramento nella condizione lavorativa, retribuzioni più basse, orari di lavoro più lunghi. Questi sono solo alcuni dei dati emersi dallo studio dell’Associazione Bruno Trentin-Isf-Ires della Cgil su un campione di oltre mille immigrati provenienti da diverse aree del mondo. I risultati della ricerca, effettuata su scala nazionale, sono stati presentati la scorsa settimana presso la sede nazionale della CGIL, alla presenza del vice ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Maria Cecilia Guerra. Lo studio è partito da una serie di dati dell’ISTAT che delineano quale sia stata nell’ultimo periodo la condizione lavorativa per gli immigrati. Tra il 2011 e il 2012, ad esempio, il tasso di occupazione è diminuito dell’ 1,7% e oltre 523mila lavoratori vivono nell’area della “sofferenza” (formata da disoccupati,scoraggiati disponibili e occupati in cassa integrazione).Ancora più ampia (oltre 700mila) è la fetta di lavoratori in “disagio” ovvero che non hanno trovato un impiego a tempo indeterminato e che lavorano sotto le condizioni auspicate. Sulla base di questi dati lo studio dell’Associazione Bruno Trentin-Isf-Ires della Cgil si è posto l’obiettivo di indagare gli effetti della crisi, sia sul piano lavorativo che su quello sociale. Tra i vari risultati, colpisce come il 94% degli intervistati, rivela che la crisi ha portato cambiamenti nel loro stile di vita. In particolare sono stati 3 gli effetti della recessione: quello economico è che i consumi si sono ridotti del 62% così come la necessità di chiedere un prestito(14%), quello lavorativo è che ormai gli immigrati che vivono nel nostro paese, sono disposti ad accettare qualsiasi tipo di lavoro gli venga proposto(25%) e spesso debbano averne più di uno(12%), per finire è cambiato il progetto migratorio. Se qualche anno fa, la maggior parte degli emigranti partiva dal proprio paese per poter inviare soldi ai familiari e successivamente portarli in Italia, oggi la priorità resta quella della sussistenza tanto che quasi un immigrato su due pensa di dover affrontare una seconda migrazione per potersi stabilire definitivamente.Altri elementi rilevanti dello studio sono che la paura di perdere il lavoro o di non trovarne colpisce circa l’80% degli immigrati e che della loro condizione ne risente indirettamente anche il nostro paese. Va ricordato infatti, che i lavoratori stranieri rappresentano oltre il 10% del Pil italiano, contribuiscono a sostenere il welfare, e offrono un decisivo contributo al recupero demografico. “Esiste il rischio di strutturare una società con cittadini di serie A e non cittadini di serie B- spiegano i ricercatori- e il pericolo più grande è di creare disparità tali da comportare vere e proprie rivolte sociali, come avvenuto negli scorsi anni in importanti città europee, Parigi e Londra su tutte”. LEGGI ANCHEhttps://www.piuculture.it/it/2013/10/prospettive-ocse-sulle-migrazioni-internazionali/https://www.piuculture.it/it/2013/10/immigrati-nel-pubblico-impiego-una-riforma-da-attuare/
Adriano Di Blasi
(9 ottobre 2013)