La crisi in Medio Oriente: Comunità di Sant’Egidio tra giornalismo, rivolte e speranze

santegidioNonostante uno sciopero dei mezzi pubblici che minaccia di paralizzare la città, il Collegio Urbano la mattina del 1 ottobre è gremito di gente. Pass colorati per stampa, esponenti della Comunità e rappresentanti religiosi, si mischiano a quelli distribuiti a gruppi di studenti di ogni età con professori al seguito. Accenti italiani e  stranieri chiedono informazioni allo staff dislocato nelle strade del Collegio, completamente inondate di sole. Il tutto, per assistere al convegno internazionale Il coraggio della speranza: religioni e culture in dialogo, organizzato a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio.

La sala in cui si svolge il panel su La crisi in Medio oriente è piena ben prima dell’inizio dei lavori, al punto che è necessario allestire una proiezione video nel vicino auditorium. È un panel bilingue, questo, che attrae non solo per il tema, ma anche per il livello degli oratori. Dividono il tavolo, presieduto dal cardinale Leonardo Sandri, giornalisti come Khadija Bengana, Antonio Ferrari e Domenico Quirico, il Ministro della Difesa Mario Mauro, l’Ambasciatore Roberto Toscano e tre esponenti del mondo arabo: Ahmed Maher, del Movimento 6 Aprile di Piazza Tahrir, Mohammad Sammak del Comitato Nazionale Islamo-Cristiano per il dialogo, e Haytam Manna, Presidente del National Coordination Body siriano. Il Medio Oriente viene raccontato per bocca di chi lo conosce bene: tra i temi, l’obiettività del giornalismo in un contesto di regime, volti e storie dei ribelli, le responsabilità dell’Occidente, le cause della crisi, le prospettive future.

Terroristi, infiltrati, avanzi del regime, spacconi, populisti: sono alcuni dei neologismi coniati per definire i dissidenti in Siria, secondo l’analisi di Kadija Bengana, che parla della difficoltà di esprimere un pensiero obiettivo in un paese che elabora quotidianamente teorie cospirazioniste per individuare nemici esterni. Le fa eco Ahmed Mahrer, che ha sperimentato sulla propria pelle sia l’esperienza attiva della protesta che quella della repressione violenta, e che ai termini dedicati ai dissidenti ne aggiunge un altro, pericolosamente tornato nella storia dopo anni: quinta colonna.

Gli oratori (photo credit: www.santegidio.org)
Gli oratori (photo credit: www.santegidio.org)

Basta poco perché lo sguardo venga puntato sull’Occidente e le sue responsabilità: “il 49,9% dei siriani è disoccupato, il 40% delle infrastrutture è stato distrutto o contrabbandato, il 25% dei bambini non va a scuola e non può imparare a leggere e scrivere: nessun aiuto umanitario potrà riportarci dove eravamo prima”, dichiara Haytam Manna. Anche Domenico Quirico, liberato lo scorso settembre dopo cinque mesi di prigionia in Siria, parla di “ottusità politica e viltà” delle potenze occidentali. Spiega con estrema chiarezza la composizione delle forze impiegate in Siria ed individua le responsabilità delle potenze occidentali che hanno lasciato soli i ribelli. Soprattutto, però, afferma la necessità di raccontare le storie di chi combatte per i diritti civili, “perché nel mio mestiere, al di là di tutti i discorsi sull’imparzialità, ad un certo punto bisogna decidere chi sono i cattivi e chi i buoni, e raccontare gli ultimi”.

Se il Ministro Mauro interviene fermamente sulla necessità di garantire la tutela della libertà religiosa, “che è la base per tutelare la libertà tout court”, a parlare di laicità in modo più diretto sono Mohammad Sammak e Roberto Toscano. “L’estremismo è un pericolo in primo luogo per gli stessi musulmani. Un terzo dei musulmani vive in società non islamiche: se il musulmano viene identificato come colui che rifiuta l’altro, come potrà pretendere di essere rispettato a sua volta?”, evidenzia Sammak, che parla del rischio di un’”islamofobia crescente”. I numeri che evidenziano la discrepanza tra gli investimenti in spese per la ricerca e l’istruzione e quelli per il consolidamento dei regimi sono impressionanti: “un terzo del mondo arabo è analfabeta”, continua Sammak. Ed è proprio il deficit di conoscenze, di libertà e di empowerment della popolazione femminile ad impedire lo sviluppo dei paesi arabi, secondo Roberto Toscano, che cita gli Arab Human Development Reports: “il problema della governance dei paesi arabi non è determinato da cause storiche, economiche o religiose, ma dalla mancanza di un sentimento di cittadinanza”.

Il pubblico (photo credit: www.santegidio.org)
Il pubblico (photo credit: www.santegidio.org)

Parlare di laicità di fronte a una platea di religiosi ha un impatto più forte del comune, soprattutto quando questa viene identificata come la possibile soluzione ad una crisi finora irrisolta: “laicità, che nel mondo arabo viene tradotta erroneamente come la-dini, non religione, non significa escludere la religione dallo spazio pubblico, ma non pretendere che questa controlli la politica e lo stato”, continua Toscano. La laicità, dunque, sarebbe la soluzione per riaprire un dialogo in quei paesi in cui “si combatte per conto terzi”, come ha affermato nel suo intervento  Antonio Ferrari. Il giornalista, che lo scorso luglio aveva parlato del golpe egiziano come di un golpe popolare, vede oggi  il braccio di ferro tra USA e Siria/Russia sulle armi chimiche come un punto di partenza per una ricomposizione del conflitto “come fu per la guerra fredda”, e si dichiara ottimista per il ritrovato ruolo “pacificatore” dell’ONU.

Non c’è tempo per gli interventi del pubblico, ma si applaude ugualmente.  Le tante facce di ogni età, sesso e provenienza sperano che quel dialogo tra popoli –  prima che tra stati – sia possibile, e che si sviluppi quel senso di cittadinanza che oggi manca. Per utilizzare le parole del ragazzo di piazza Tahrir: “prima del 25 gennaio i ribelli erano solo individui, avevano paura, ma ora hanno creato il Fronte del percorso della rivoluzione, per riorganizzarsi, e ora a “portare la torcia” saranno i ragazzi della generazione successiva alla mia. Magari non sarà immediato, perché il cambiamento in ogni rivoluzione arriva in modo graduale, ma sono ottimista”. E, con lui, lo siamo anche noi.

Veronica Adriani

(3 ottobre 2013)

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