Medici con l’Africa: “l’Italia migliore che pochi raccontano”

Il dottor Claudio Beltramello, uno dei tanti Medici con l'Africa
Il dottor Claudio Beltramello, uno dei tanti Medici con l’Africa, che sostiene “la normalità di un medico in Africa: non siamo nè eroi nè disadattati”

Medici con l’Africa, e non per l’Africa, è un progetto e un film documentario. “Con quel con che per noi è tanto diverso dal per, vogliamo dire che ci accostiamo a loro per sviluppare il loro sistema sanitario” dice don Dante Carraro. Niente da impartire o imporre, “non il cosa, ma il come e il perché”.

C‘è un motivo per cui si parte per l’Africa e spesso si resta in Africa: ogni persona ha una sua ragione profonda.

Il film documentario di Carlo Mazzacurati (Notte italiana, Marrakesh Express, La giusta distanza) racconta “anni spesi a tessere legami tra Africa e Italia, un percorso di cura, guarigione e salute, soprattutto per madri, neonati e bambini”, presente oggi in sette paesi in nome del diritto fondamentale alla salute e l’accesso ai servizi sanitari: Angola, Etiopia, Kenya, Mozambico, Sudan, Tanzania e Uganda, dove il Matany rappresenta oggi l’ospedale modello. Il film inizia nella sede storica di Medici con l’Africa Cuamm (Collegio Universitario Aspiranti Medici Missionari), nel centro di Padova, città natale del regista, con il racconto dell’attuale direttore, sacerdote e cardiologo don Carraro e di don Luigi Mazzuccato, dirigente fin dall’inizio, dal 1955. Da lì si conclude a Beira, in Mozambico, affacciata sull’oceano Indiano, dentro le storie dei medici, donne e uomini, “piene di sacrificio ma anche di dolcezza e ironia”.

La copertina del libro di Paolo Rumiz, Il bene ostinato
La copertina del libro di Paolo Rumiz, Il bene ostinato

“Dedicato a quanti hanno speso la vita senza rumore nel compimento della loro missione” Il bene ostinato, è il libro di Paolo Rumiz, giornalista de La Repubblica, qui nel ruolo di “uno scrittore-viaggiatore che si innamora del progetto, parte per l’Africa e osserva finalmente un’altra Italia in azione: è la storia che ha dato vita al film su questi “profeti di oggi, i punti emergenti di un volontariato italiano di cui non si scrive, il nucleo di un altruismo che alberga negli stessi territori dell’egoismo antistranieri. Avevo paura dell’effetto reality della radiotv odierna, ma l’umanità delle persone che ho conosciuto mi hanno conquistato e così irrazionalmente ho scritto questo libro”.

L’Africa non è Europa”, continua Rumiz, “qui la pazienza non ha limite ma il dolore ci mette un attimo a essere condiviso. Ricordo quando morì il suo bambino, una donna iniziò a cantare e ballare il suo dolore”. Un libro che parla di nascita e morte, contro gli stereotipi, quando Rumiz racconta anche di un medico poi diventato sindaco leghista che descrive la sua esperienza al Cuamm: “lì c’è una serietà scientifica che non ho mai ritrovato in Italia, c’era anche una grande leggerezza dell’anima”. “Abbiamo bisogno che queste persone ritornino in Italia” commenta Rumiz.

Effettivamente colpisce la semplicità di queste persone, gente che non ha pretese e che cerca semplicemente di fare al meglio il proprio lavoro, avendo l’impressione che in Italia sia sempre più rara. Un film che ha cercato di evitare le solite immagini shock di bambini affamati o malati: lo sceneggiatore Claudio Piersanti racconta la decisione di “non voler semplicemente mostrare, cosa che non mette mai in discussione sé stessi, perché è solo retorica, tutti evitiamo ciò di cui non possiamo farci carico. Ma queste persone sono lì, con l’Africa, e al contempo, oggi l’Africa sta venendo da noi…

Ma meglio di tutto raccontano le parole di chi vive tutti i giorni questa realtà: “eri un buon medico se ti mostravi distaccato, questo ancora si insegna, ma è ridicolo, ciò che mi ha colpito in Africa è proprio l’affettività dei pediatri”, osserva un giovane tirocinante; “i principi fondamentali della ricerca sono il rispetto, la benevolenza e la giustizia” dice una docente di fronte a una classe di giovani medici; “alla fine ho capito che sono molto più felice in Africa”, confessa un medico; mentre un’ostetrica rivela “avventurismo è anche incapacità di vivere il quotidiano, ho sempre paura che facciamo ancora troppo i colonizzatori, che importiamo ancora troppo i nostri modelli”; fino a chi ricorda la sensazione di “smuovere il mare con un cucchiaino, lo sappiamo bene, ma vale la pena per conoscere cosa significa la compassione”. Essere con l’altro.

Alice Rinaldi (13 novembre 2013)