All’inizio degli anni ’90 cominciarono ad arrivare le prime richieste di parificazione delle scuole coraniche con quelle italiane, ma il tentativo dei migranti di approcciare un processo di integrazione quasi pioneristico per l’epoca fu considerato alieno alla nostra cultura. Le cose non sono poi migliorate con l’attacco dell’11 settembre, quando l’islam venne etichettato frettolosamente come religione “terroristica”. A dispetto dell’indifferenza istituzionale il percorso di inserimento nella convivenza sociale è proseguito per conto proprio.
Il libro di Alessandra Caragiuli “L’islam metropolitano” ricostruisce tappa dopo tappa i venti anni di temuta “islamizzazione” nella capitale e, di conseguenza, nel resto del paese, una storia invisibile portata avanti con metodo scientifico complementare allo studio dell’evoluzione del fenomeno del multiculturalismo. Presentato presso la Sala Colonne di Palazzo Marini della Camera dei Deputati il 17 dicembre, il volume tocca diversi ambiti delle comunità musulmane, dal ruolo degli anziani e delle donne – le più soggette ai problemi linguistici che impediscono di uscire dalla sfera privata – a quello degli imam, le cui consultazioni con la popolazioni costituiscono una forma di democrazia assente nel cristianesimo.
“È stato un lavoro interdisciplinare”, spiega l’autrice, “trattato nelle sue versioni sotto tre punti di vista”. Il primo è etnografico, sui luoghi urbani, “un’elaborazione di stime delle presenze e una mappatura dei gruppi, risultato del dialogo con i temuti protagonisti del territorio”. Il secondo sviluppo è stato l’approfondimento storico dei raggruppamenti religiosi e intellettuali islamici, “per la comprensione degli scenari geopolitici e la ricerca di soluzioni pacifiche nei conflitti mediorientali e nelle cosiddette primavere arabe”.
Il terzo aspetto è uno studio della componente mistica in particolare fra i convertiti, ma anche le vicende che hanno coinvolto la fratellanza musulmana, “dall’essere fuorilegge a forza di governo” in Tunisia ed Egitto – pur con un diverso finale fra i due paesi. Quindi la normativa italiana, che dalla Bossi-Fini al Pacchetto Sicurezza ha cambiato le condizioni dei migranti, anche se l’inasprimento dei controlli e dei respingimenti non ha sortito gli effetti sperati, anzi ha peggiorato soltanto il livello qualitativo dell’accoglienza, troppo spesso sotto la soglia minima di umanità del trattamento. “Nei sei anni che ho impiegato a scrivere il libro c’è chi ha reso Roma una città meno sicura”, denuncia la Caragiuli, che auspica come da questo punto di vista il suo lavoro “possa essere uno strumento di dibattito”.
“C’è un islam che si è sviluppato negli anni in modo diffuso inserendosi in spazi e luoghi non specifici a livello cittadino e nazionale senza creare allarmi o suscitare conflitti particolari”, commenta Khalid Chaouki, deputato del Pd e presidente della commissione Cultura per l’Unione Mediterranea. Se la pluralità è un punto di forza della società il limite sta nei mancati riconoscimenti “sia istituzionali che dei contributi nella gestione di processi non sempre guidati dalle amministrazioni. Oggi la comunità è matura e non può più attendere la piena realizzazione di diritti costituzionali. Come si può pretendere la partecipazione se a questa minoranza non vengono concessi luoghi dignitosi per il culto o l’insegnamento delle lingue d’origine?”.
Le discriminazioni I casi di discriminazione legati alla religione islamica segnalati all’Unar – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali – sono relativamente pochi, “circa il 5% del totale” riporta Paola Di Lazzaro. Ovviamente questo non vuol dire che non ci siano circostanze rimaste ignote, non sempre si sa che ci si può appellare all’istituto. “La maggior parte sono contro le donne ed il velo, cioè l’elemento visivo”. Gli effetti sono soprattutto sul lavoro, con datori che “per la paura o la diffidenza del pubblico evitano l’inserimento in posizioni di relazioni esterne e sportelli, relegando di più al back office”. Gli interventi da fare in materia sono complessi, si dovrebbe partire dall’azione “sulla mentalità, magari usando il libro come materiale nelle scuole. Sarebbe un esercizio stimolante perché i ragazzi sono molto ricettivi”.
Il problema della percezione è – come detto più e più volte – amplificato dai media, che “aumentano la distanza con la realtà”, lamenta Giuseppe Sangiorgi, direttore della rivista “Libertà civili”. “Il Mediterraneo è un luogo dove nei secoli si sono accatastate civiltà e religioni, le tre figlie di Abramo. Finché non ci sarà pace fra queste non potrà esserci nemmeno in continenti lontani, la questione è mondiale e va affrontata con questo spirito, spero che torneremo ad essere uno stesso popolo”. Ma non potranno esserci condizioni per il dialogo fin quando si considerano gli islamici come un blocco indistinto, quando si va dai tunisini agli indonesiani, dagli egiziani ai bengalesi, dai senegalesi agli iraniani, ognuno con la sua cultura, identità e valori: questo atteggiamento troppo semplificativo “complica il processo unificatore”.
Gabriele Santoro(18 dicembre 2013)
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