È terminata dal 1 marzo la cosiddetta Emergenza nord Africa: circa 13 mila richiedenti asilo, scappati dopo i tumultuosi eventi che hanno sconvolto la sponda sud del Mediterraneo, sono costretti a lasciare i centri di accoglienza nei quali sono rimasti per quasi due anni e restano abbandonati al loro destino con una buonuscita di 500 euro. Salvo la proroga concessa dal ministero dell’Interno per le categorie vulnerabili – anziani, malati, disabili, genitori singoli con minori, donne in gravidanza, vittime di tortura e altre violenze, e chi ancora deve essere ascoltato dalla commissione che valuterà le domande. “Per chi vuole”, ha ricordato tre giorni fa la ministra Cancellieri, “è possibile il rimpatrio assistito“, “di cui usufruirà chi è esasperato da ciò che gli offriamo”, aggiunge amareggiato padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli per i rifugiati in Italia, “si tratta dell’ennesima pagina del libro vergognoso di una serie di emergenze che il Governo italiano ha dichiarato”, oltre il paradosso: “mi dici che hai finito i soldi per l’accoglienza, che bisogna fare tagli, e poi come soluzione mi offri dei soldi?”. 500 euro per 13mila=6 milioni e mezzo.
Facendo un passo indietro, per capire meglio le radici della questione, “molto nasce dalla vendetta di Gheddafi”, che indispettito dal voltafaccia dell’esecutivo Berlusconi, passato da partner privilegiato all’essere in prima linea negli aiuti ai ribelli su pressioni della comunità internazionale, “ha svuotato i penitenziari, riempiti anche di migranti dell’Africa subsahariana, costringendo gli ex detenuti a imbarcarsi verso Lampedusa”. Il resto è stato fatto dall’esasperazione cui ha portato il clima politico culturale, inevitabile quando si decide di bloccare i neo arrivati per troppo tempo nell’isola pelagica, definendo “tsunami umano” quelli che erano sbarchi appena sopra la media degli ultimi venti anni, per spaventare l’opinione pubblica e andare a “battere cassa all’Unione Europea, finendo con lo sperperare 1,3 miliardi di euro”. Soldi che avrebbero potuto potenziare lo SPRAR, Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, mentre “è stato realizzato un canale parallelo affidato alla Protezione Civile, che ha distribuito male le risorse”.
L’accoglienza è avvenuta in strutture improvvisate, spesso alberghi “che di certo sono strutture ricettive, ma non “di integrazione“, non potendo insegnare l’italiano o provvedere alla gestione di servizi burocratici”. Con il risultato che molte persone senza documenti o iscrizioni anagrafiche sono costrette a riversarsi a Roma per rimediare, “ci è arrivata gente da tutta Italia”. A questo bisogna aggiungere le spese: 46 euro al giorno per rifugi che non sempre rispettavano le condizioni minime per un soggiorno dignitoso. “Ora andranno ad ingrossare le file di chi vive abusivamente, creando nuove emergenze e nessuna forza politica dimostra di voler affrontare il problema. Non si può governare così, cercando di tamponare. Possibile che nessuno sapesse quanti sarebbero stati gli arrivi?”. Come ha sottolineato il manifesto “qualcuno si sposterà verso le campagne di Rosarno per la raccolta primaverile o a Castel Volturno”, realtà già tristemente conosciute dalle cronache recenti.
Questione di titoli… Per molti dei circa 20mila il suggerimento è stato di richiedere l’asilo politico, perché non potendo essere rimandati indietro il problema era a quale titolo farli rimanere. Ai tunisini veniva riconosciuto un permesso di soggiorno temporaneo, valido un anno, “ma i rilasci hanno avuto tempistiche che hanno ritardato un percorso che avrebbe permesso a queste persone di trovarsi una propria autonomia. Il vuoto politico e tecnico ha condotto all’assenza di una progettualità, non servivano scienziati per capire che è inutile dare permessi per dodici mesi al termine dei quali non c’erano prospettive, sarebbe bastato dialogare” per arrivare a soluzioni più sensate e dignitose. “Al posto della progettualità hanno preferito il “parcheggio”, che non è aiuto, è solo il riflesso di un altro vuoto lasciato dalle tre agenzie per la cura delle persone – la Chiesa, la famiglia e la scuola – oggi purtroppo in crisi perché ci si allontana sempre di più dalla vita reale”.
… e di mentalità “In questo business ci hanno guadagnato gli albergatori – “ho delle stanze vuote, perché non occuparle” – ma poi nessuna commissione ha verificato chi sono queste persone e i loro operati – mentre lo Stato in fondo non ha perso niente, i soldi spesi sono quelli delle tasse”, i contribuenti dovrebbero indignarsi, “non c’è stato l’interesse di raggiungere nemmeno un pareggio di bilancio. Né si è mai visto il ministro dell’Interno, Maroni prima e Cancellieri poi, riferire al Parlamento la destinazione di somme non indifferenti o i dettagli – al di là di generici “auspici” che non spiegano niente – dei famosi accordi con la Libia” rinnovati dopo la caduta di Gheddafi. “Un Paese che, non scordiamolo, non firmò nemmeno le Convenzioni di Ginevra sui diritti umanitari. La preoccupazione della carriera farà proseguire la gestione emergenziale, nessuno vuole bruciarsi prendendo decisioni radicali”.
Si parla sempre più del nuovo corso della classe politica, ma la mentalità e l’impreparazione sono sempre le stesse, “qua ci salviamo tutti o nessuno, invece ancora si sente dire “prima gli italiani” che rivela la povertà culturale e umana che stiamo attraversando. Come ha detto Bisio all’ultimo festival di Sanremo, se ognuno pensa sempre a fregare il prossimo, poi ha il livello politico che merita”. Del resto nemmeno i media sembrano interessarsi più di tanto agli sviluppi di certe situazioni, almeno finché “non scoppierà qualcosa di grosso che tornerà a fare notizia. È l’incidente che fa funzionare emotivamente gli italiani, mentre basterebbe un po’ più di responsabilità”.
“Il furbo ci ha messo in ginocchio”, dice La Manna, ““l’emergenza dell’emergenza“, così ragioniamo in Italia, invece di realizzare subito ciò di cui abbiamo bisogno: se partiamo oggi, siamo già in ritardo”. Modalità di intervento e sensibilità sulla questione accoglienza sembrano infatti non cambiare nel tempo, anche col cambiare della politica: padre La Manna ricorda un’altra scandalosa gestione. 700 rifugiati politici e beneficiari di protezione sussidiaria provenienti dal Corno D’ Africa, stipati dentro il Selam Palace alla Romanina, dal 2006, sotto Veltroni-Ferrero. Un esempio di totale rottura dei rapporti con le istituzioni che scaturì dal mancato accordo sul trasferimento, decretando la definitiva illegalità dell’occupazione e l’inizio del progressivo degrado delle condizioni di vita all’interno del palazzo.
L’Italia nell’Unione Europea “Ci siamo dimenticati la nostra peculiarità di porta tra i continenti”, continua La Manna, “e ora dobbiamo fare il lavoro sporco imposto dall’Unione Europea che chiude i confini – da cui la definizione di “Fortezza Europa” – con i respingimenti che consegnano alle motovedette libiche persone piene di speranze in viaggio su barche intercettate”. Misure che alla fine non possono fermare chi rischia la vita. Padre La Manna conosce i racconti dei “respinti”: “nelle carceri libiche le ragazze cercano di farsi la doccia insieme per limitare il rischio di violenze, ci sono guardie che hanno promesso a qualcuna “ti libero” e invece sono state violentate”. “L’Italia ha perso autorevolezza, che l’Ue verifica solo attraverso numeri e cifre, e non con situazioni emotive come siamo abituati”, da qui non si arriva a dare il giusto peso alla realtà del volontariato, “che ci fa onore”, a dispetto del principio di solidarietà che dovrebbe essere fondante nell’Unione. “Basti guardare alla situazione della Grecia o della Spagna. Quale solidarietà, quale aiuto gli stiamo dando? E la Siria? Perché in Siria non si fa nulla? Mi fa sorridere il meschino Terzi che afferma che “l’Italia non tollera l’uso di armi chimiche”. Le altre fanno meno male?”
Il coraggio del dissenso “Tutto quello che possiamo fare come centro Astalli è denunciare questo modo di procedere, con la credibilità di chi sta a contatto con la realtà, senza che venga raccontata o confezionata per esserlo”. L’impegno continuo è “accompagnare rifugiati e richiedenti asilo, rispondere ai loro bisogni e affermarne il rispetto, la dignità e i diritti. E quando questi ultimi sono lesi lo evidenziamo, a ogni livello”. Ecco perché nella partita dell’Emergenza nord Africa Astalli ha scelto di non partecipare, “se non nei servizi messi a disposizione dagli enti locali per imparare l’italiano o per l’assistenza sanitaria, anche se ci avremmo guadagnato a fornire i posti dormitorio. Si è passati avanti ad altre situazioni in cui gente aspetta da 3-4 mesi la prima accoglienza, dormendo per strada oppure occupando case”, chiude La Manna, “è stato il nostro modo di manifestare il dissenso alla gestione della Protezione Civile”.
“Io non posso pretendere che un Maroni capisca la situazione”, ma forse è l’esempio minore, visto che la Permanenza Temporanea dei CPT si trasformò in Identificazione ed Espulsione (CIE) con una legge del 1998 che porta i nomi di Livia Turco e Giorgio Napolitano… “ma posso sperare nei tecnici”, conclude La Manna, “gente che invece di essere succube si impone dei limiti, al di sotto dei quali decide di non andare. Penso a tanti prefetti, come Carlo Mosca” o tanti medici, “gente che si è rifiutata di prendere impronte digitali” o denunciare clandestini, perché non rientra nell’etica del proprio lavoro. “La cosiddetta cittadinanza attiva, di cui oggi tutti parlano come fosse una cosa nuova, poteva già essere stata realizzata da tempo. Io sono solo uno, ma se non si agisce, anche da soli, non cambierà mai niente. Vuoi spendere male i soldi? Io mi rifiuto”.
Gabriele Santoro e Alice Rinaldi(7 marzo 2013)