“Era il 150esimo anniversario dell’unità d’Italia, 2011. I miei figli frequentavano una scuola che aveva un coro. Per l’occasione era stato organizzato un concerto e alla fine i ragazzi hanno intonato l’inno nazionale. Inutile dire che tra di loro ci fossero anche sei bambini “stranieri” che come gli altri cantarono con la mano sul cuore. L’immagine mi colpì molto e fece nascere l’idea del documentario. Terribile far parte di una comunità, sentirsi italiani, ma di fatto non esserlo”.
Italiani per Costituzione è l’ultimo cortometraggio realizzato da Simona Filippini con Matteo Antonelli che verrà proiettato giovedì 16 gennaio alle ore 18.30 in occasione della Assemblea annuale dei soci Piuculture presso la sede di Intersos (via Aniene 26/A, piazza Fiume) in cui si discuterà del programma 2014.
6 città a partire da Roma, Milano, Napoli, Trento, Prato e Palermo, 19 ragazzi che “funzionano sullo schermo”, ma sono stati presi così, letteralmente dalla strada, avrebbe approvato Pasolini.
Simona Filippini nasce dalla fotografia, è fondatrice di Camera21, laboratorio che realizza “progetti fotografici mirati all’investigazione sociologica della realtà italiana contemporanea”. Nel suo lavoro tutto nasce dalla curiosità: “si tratta di applicare alla tua città lo stesso sguardo che avresti in un Paese esotico. Già dagli anni ’90 Roma è davvero multietnica, ma non accettiamo su di noi lo stesso principio di evoluzione. E così non andiamo in progressivo, si va avanti e poi si torna indietro. Solo il 6% degli italiani ritiene che l’immigrazione sia oggi un tema prioritario: la crisi economica accorcia gli orizzonti”.
Il lavoro di Simona era già “intercultura”: nel 2008 il progetto Di Lei, sulle tate che vivono nelle case degli italiani, suggeriva un altro rispetto. “Donne che vivono con noi, a cui chiediamo discrezione, ma hanno diritto come tutti a esprimersi liberamente. E poi c’è il fatto che loro ci guardano… e dal punto di vista fotografico per me è molto interessante. In ogni caso sono persone con cui solitamente c’è stima e affetto reciproco: si parla sempre degli aspetti negativi, ma ci sono anche, anzi soprattutto, gli aspetti positivi”.
“Avevo una forte curiosità nei confronti della comunità cinese”, racconta Simona, “tuttora una di quelle meno capite. Perfino tramite conoscenze, che poi sono sempre ristoranti, non siamo riusciti a stabilire un reale contatto. Un giorno camminavo per strada e ho visto questo ragazzo, l’ho fermato e alla fine mi sentivo più in imbarazzo io, gli ho spiegato l’idea del documentario e lui ha accettato”.
Il corto dura 12 minuti, i ragazzi si presentano, “a ognuno di loro abbiamo chiesto di scegliere un articolo della Costituzione”.
- art. 1 L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. C’è chi vuole fare il giudice, il medico per i bambini, la stilista, l’ingegnere, la pasticciera, l’hostess, l’economista, la diplomatica…
- art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale. “Se sarò italiana non mi giudicheranno?” si chiede Marieme da Trento.
- art. 4 ‘A Ripubblica arricanusci ai cittadini u dirittu au travagghiu. Lo dice Mata, palermitano di origine eritrea.
- art. 34 La scuola è aperta a tutti. Tra chi sostiene che “un mondo ignorante non potrebbe andare avanti” e chi involontariamente sottolinea il problema reale dell’abbandono scolastico …da parte degli italiani.
- art. 36 Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionale. “È triste nascere e crescere in un Paese e poi doverlo abbandonare” commenta il figlio di un migrante marocchino, che oggi a distanza di una generazione sperimenta la migrazione ancora, quella dei suoi amici.
E ancora:
- art. 8 Le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
- art. 9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica.
- art. 10 Lo straniero ha diritto d’asilo.
- art. 11 L’Italia ripudia la guerra.
- art. 22 Nessuno può essere privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome.
- art. 32 L’Italia tutela la salute.
- art. 37 La donna lavoratrice ha gli stessi diritti dell’uomo.
Una discutibile legge italiana per la cittadinanza viene così smontata da 12 minuti di video che sottolineano una miriade di disfunzioni sociali, lavorative, ma anche di linguaggio tra chi a casa parla “normale” (in africano) e chi invece parla italiano ma “alla fine ci serve un traduttore”. Una legge che penalizza chi lascia l’Italia temporaneamente entro i propri 18 anni, “magari si tratta di una famiglia che qui è economicamente in difficoltà e decide di mandare per un po’ i figli dai nonni che sono rimasti al Paese”: quei ragazzi perdono qualsiasi diritto ritrovandosi così italiani in un Paese straniero, anche se originario. “Diversi da noi, diversi dagli italiani” come osserva Misiel da Prato. Anche Andrea Teng, doppio nome italiano e cinese, ha un paradosso in famiglia: ha 19 anni e vive col fratello 21enne, ma mentre lui è italiano, l’altro è cinese!
Un film sulla perpetua confusione tra italiani e stranieri, bianchi e neri, legali e illegali, che potrebbe risolversi facilmente, proprio evitando di far distinzioni, accettando la bellezza della diversità. “Invece sembra sempre che bisogna lavorare a compartimenti stagni, le donne, gli stranieri, poi se lavori per il sociale non sei artista. Io sono convinta che l’arte può aiutare il cambiamento”.
“Molti mi hanno detto che è bello vedere questo accostamento di diversi accenti e colori” dentro un’unica lingua e in nome di un unico sentimento di comunione, “ma è interessante notare che rivela quanta diversità c’è anche tra noi. Chiediamo loro di essere italiani al 100%, ma che vuol dire effettivamente?”
La diversità (e la sua percezione) non è un insulto: “nella mia classe c’è una ragazza che viene dall’Argentina, una da Napoli…” dice la bambina di origine somala che vive a Trento. È semplicemente bello vedere che esiste chi, nonostante il velo, si specchia negli altri camminando tra le strade di Milano e chi ama visceralmente Palermo, il sole, il mare e i sorrisi, e non la lascerebbe “per nulla al mondo”. Tra chi si presenta entusiasticamente palermitano, per poi ricordarsi, con meno entusiasmo, l’origine eritrea. Chi non parla arabo perché è normale, e chi parla normale, ovvero africano.
“Di questi ragazzi mi ha colpito la loro consapevolezza, sanno di essere anelli di congiunzione tra due culture. Hanno anche una fortissima percezione della loro città, la amano, la difendono. Questi ragazzi sanno valorizzare la bellezza che ancora c’è in questo Paese e che forse noi abbiamo dimenticato”.
Alice Rinaldi (13 gennaio 2014)
http://www.youtube.com/watch?v=5-1wb5mh1tc