In attesa del pluricandidato agli Oscar Steve McQueen con il suo 12 anni schiavo, anche l’Italia ha dedicato un film a un tema che suona solo antico invece è soprattutto attuale, quello degli Schiavi, un documentario su Le rotte di nuove forme di sfruttamento: dagli albanesi di Bari ai nigeriani di Rosarno, dai respingimenti al lavoro coatto, prosegue l’inchiesta di Stefano Mencherini, giornalista indipendente e già regista di Mare nostrum. Ecco le nuove forme di schiavitù del III millennio.
“Mi interesso di immigrazione perché è lo specchio della guerra tra poveri” dice Mencherini. “Schiavi anticipa la fine di tutti noi” ed è questo il risvolto sociale più ampio e globale, amaro, che il film affronta: “in gran parte siamo già schiavi”, basta guardare alla vita di tutti i giorni, “il mondo del lavoro, come trattiamo “gli stranieri”, i ricatti che dobbiamo subire, sono tutte forme di già avvenuta schiavitù. Il crescente divario tra povertà e ricchezza fa esplodere la xenofobia e ci rende numeri in guerra tra loro”.
Mare nostrum, lavoro vostrum. In Mare nostrum il fenomeno dell’immigrazione clandestina si intreccia con l’incostituzionalità della famigerata legge del 2002 “Bossi-Fini-Mantovano”, all’epoca dei grandi sbarchi in Puglia dall’Albania; in Schiavi “il tema del lavoro coatto appare nei principali media solo quando genera tragedie, dimenticandosi subito dopo che costituisce uno dei pilastri del modello produttivo globale, sia che il luogo si chiami Rosarno, Prato, Dhaka, Mumbai o Guandong”.
Per realizzare e far girare il film tutta autogestione di pochi: “una onlus (Less, Lotta all’Esclusione Sociale per lo Sviluppo) e un sindacato (Flai Cgil) hanno fatto il lavoro che spetterebbe alle case di produzione” e non si riesce ancora a trovare la distribuzione, cose che pare succedano spesso ai film italiani. Intanto il 12 febbraio sarà proiettato alla libreria Assaggi (qui l’evento), in attesa della grande proiezione il 19 febbraio al Parlamento Europeo: “altri film italiani hanno denunciato il tema della schiavitù”, tra cui Dallo zolfo al carbone di Luca Vullo, sul fenomeno migratorio derivato dal Patto Italo-Belga del 1946, “proprio lì a palazzo Altiero Spinelli, un uomo che si è sempre battuto per la solidarietà tra i popoli”, commenta Mencherini. “Oggi nel panorama europeo c’è una nuova voce ed è quella di Papa Francesco. Lo dico da laico, è stato il primo che si è sporcato le mani su un argomento così importante. Gli italiani al momento sono divisi tra la propria sopravvivenza e l’istinto alla solidarietà verso gli altri, molti sono sensibili comunque, altri se ne fregano, complice anche l’indecenza mediatica che ha alimentato i luoghi comuni”.
Deportati in mare o sfruttati nei campi, è comunque schiavitù. Sono passati 11 anni dal primo film e qualcosa è cambiato, purtroppo “in peggio: certo ai tempi di Mare nostrum ero quasi considerato un terrorista e il film subì la censura preventiva, rimanendo poi chiuso nei soliti circuiti già sensibili alla tematica, oggi almeno c’è una maggiore attenzione mediatica al tema dell’immigrazione”, ma le differenze quali sono? “I vecchi Cpt oggi si chiamano Cie, ma sono sempre delle Guantanamo nostrane, al massimo l’autolesionismo nei Centri di Permanenza è diventato suicidio in quelli di Accoglienza”. Il Senato ha ora cancellato il reato di immigrazione clandestina, introdotto dal Pacchetto sicurezza del 2009, per tornare a quanto prevedeva la Bossi-Fini, illecito amministrativo, comunque un altro passo indietro (o finta in avanti). “All’epoca era da considerare come una nuova legge razziale” e oggi il succo non cambia.
Basti pensare a come è andato a finire il caso del Cpt “Regina pacis” di San Foca (Le), una fondazione gestita dalla curia salentina, al centro del mirino nell’inchiesta di Mare nostrum, in cui “richiedenti asilo e rifugiati subirono “sevizie e crudeltà“, come riportato dai giudici di Lecce”, fisiche e morali – per esempio costringere musulmani a mangiare carne di maiale. Queste persone “non avranno mai nessuna giustizia. Il prete che era indagato ora è a far soldi in Moldavia, tutte le condanne sono cadute in prescrizione”. Negli anni il centro “accolse” circa 60mila “clandestini”… una vicenda grave che ancora oggi non tutti conoscono.
L’ultimo fotogramma del film è l’elenco delle vittime degli abusi, nomi che “stanno ancora aspettando di essere riconosciuti come uomini”, ovvero quel che si è, la condizione minima di dignità. C’è dunque vero e proprio razzismo dietro le leggi, al di là del solito teatrino delle disfunzioni italiane. Parlare di “razzismo” oggi è quasi un “tabù”, una “realtà che gli italiani rimuovono da circa 20 anni”. Allora non sarebbe meglio parlarne piuttosto che far finta che non esista?
Alice Rinaldi(5 febbraio 2014)
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