Prendiamo una tipica mozzarella italiana, latticino riconosciuto Specialità Tradizionale Garantita (Stg) dall’Unione Europea, ed una magari prodotta in Turchia. Nel vasto mercato islamico, oltre un miliardo di potenziali consumatori, rispetto alla seconda la prima non riuscirà ad attecchire a dispetto della qualità – non per essere sciovinisti – superiore, perché priva della certificazione halal.
Halal è un termine arabo che vuol dire “lecito”, cioè fatto a regola, secondo i dettami della shari’a, la legge coranica. Superficialmente viene associato al cibo, ma riguarda ogni aspetto del comportamento umano, materiale o immateriale. L’autenticazione viene rilasciata da autorità competenti in materia, l’Halal International Sharia Board (Hisb), che sovrintende l’attività dell’Halal International Authority (Hia) garantendo gli standard in tutta la filiera produttiva, poi l’Halal International Scientific Committee (Hisc) predispone i pareri scientifici sulla valutazione di rischi associati ad alimenti ed ogni altro manufatto, eventualmente da uniformare con apposite norme integrative.
Circa il 70% del consumo halal è suddiviso tra Malaysia ed Indonesia, il più popoloso stato islamico con oltre 200 milioni di abitanti. Ma le cifre di questo mercato devono invitare ad una riflessione già iniziata in diversi paesi non musulmani del mondo. L’India conta quasi 180 milioni seguaci maomettani, la Cina pensata sempre come blocco dall’etnia unica ne ha 40 milioni, come uno Stato europeo anche piuttosto grande. In Belgio, Olanda, Germania e Francia circa il 30% dell’economia è stata convertita in senso halal, per i musulmani del luogo e per le esportazioni. Ugualmente nazioni come Canada, Australia, Nuova Zelanda, Brasile e Thailandia guardano all’ampliamento del loro volume di affari.
E l’Italia? L’opportunità è di quelle da non perdere, la nostra eccellenza soprattutto nell’agroalimentare combinata ai precetti regolamentari islamici può portare ad un’innovazione che ci immetterebbe di prepotenza in un giro dal valore globale di 150 miliardi di euro. Per intavolare un discorso in tal senso in Campidoglio la mattina del 27 marzo è stata organizzata la prima Halal International Convention in Italy, base per porre le linee guida negli scambi culturali e lo sviluppo economico reciproco. Sharif Lorenzini, presidente della Hia ipotizza su questa strada un’uscita italiana dalla crisi addirittura “in 18 mesi, se tutti daremo un contributo nel progetto”.
Qualcuno già ha intrapreso un percorso simile, un’azienda di torrefazione pugliese ha ottenuto la certificazione halal per partecipare ad una fiera, finendo per sottoscrivere un accordo con dei produttori malesi con commesse mensili che raggiungevano da sole il vecchio ammontare di un anno. Nei prossimi mesi anche la Fiera di Roma, in collaborazione con regione Lazio e comune di Roma, promuoverà un iter di formazione e realizzazione di iniziative in favore di imprese che guardino a questo tipo di espansioni. Senza svalutare la nostra tradizione, continuerà “la difesa strategica del made in Italy e della proprietà intellettuale dalle contraffazioni”, assicura Mauro Mannocchi, presidente di Fiera di Roma.
Adriano Di Blasi(27 marzo 2014)