“Nelle scuole di italiano nessuno è illegale. Siamo tutti uguali. Questo progetto è nato in risposta al reato di clandestinità introdotto dal pacchetto sicurezza”, dice una delle insegnanti all’Esc Atelier che il 5 marzo ha ospitato un dibattito tra gli studenti delle scuole autogestite di Roma. Prima di vedere insieme il film di Daniele Gaglianone La mia classe, gli alunni si confrontano, parlano delle loro esperienze e superano un esame importante: esprimersi in pubblico in una lingua straniera.
Nessuna scaletta scandisce i turni di parola, Dialike dopo qualche secondo di silenzio esordisce: “La scuola è una strada grande. È come una porta: apre tante opportunità”. Poi il microfono passa a Youssi che legge il suo intervento stampato su un foglio: “è importante sapere la lingua di un posto per lavorare o andare al mercato. Ho iniziato la scuola due mesi fa, non studio molto, ma per fortuna qui ho imparato tante cose”. Ici è d’accordo, in Italia da tre anni, frequenta la scuola soltanto da un mese: “Mi piace imparare l’italiano mi aiuta ad andare avanti, a conoscere i miei amici”.
Non mancano le incertezze e le interruzioni, ma i ragazzi intervengono uno dopo l’altro senza troppi timori. Nonostante Mohamed sia a Roma soltanto da sei mesi si esprime con disinvoltura: “Per avere il lavoro devi saper parlare, ho iniziato per questo. Voglio prendere la licenza media, farò le superiori e anche l’università”. Poi è la volta di Bassir, studente di italiano e attore nel film con Valerio Mastandrea: “I miei amici mi dicono: vai sempre a scuola, ormai l’italiano lo conosci. Ma se non conosciamo la lingua è difficile fare tutto per noi. Devi studiare, devi integrarti. Se non sai nemmeno chi è il Primo Ministro o che il Presidente è Napolitano, non puoi fare nulla”.
Alcuni interventi, scritti e stampati, sono affissi alle pareti dell’Atelier, come quello di Majid, forse assente o troppo insicuro per esprimersi in pubblico: “La scuola mi fa tornare bambino, quando ancora non parlavo la mia lingua: quando si è piccoli si cerca di comunicare i bisogni alla propria madre, ma questa spesso non li comprende, perché c’è una barriera di comunicazione. Vivere in un paese senza parlare la lingua di quel posto mi fa sentire come un bambino che non riesce a comunicare con la madre”. Forse è questo il motivo per il quale Ibraheme, del Gambia, dice che a scuola ci va semplicemente perché ne ha bisogno.
Per Bruna, della scuola popolare Snia al Pigneto, insegnare italiano è una scelta politica, per gli studenti stranieri impararlo è una necessità.
Rosy D’Elia
(11 marzo 2014)