Girano per le vie della città armati di guanti, raschietto e detersivi. Organizzano blitz dandosi appuntamento su Facebook e si ritrovano in strada con la pettorina. Sono i Retakers, i volontari per il decoro urbano che ripuliscono le strade di Roma da manifesti abusivi, fogliame sui tombini e scritte sui muri. La metafora militare non è poi così azzardata se si conta che la pagina Facebook di Retake Roma conta ormai circa 12.000 sostenitori: un vero e proprio esercito pacifico di cittadini attivi – o semplicemente curiosi – pronti a fare la propria parte contro il degrado urbano.
Sono circa quaranta i gruppi Retake che operano a Roma divisi per zone. Tra questi c’è anche quello organizzato dal Comitato di Quartiere Nuova Ponte di Nona, nato di recente ma già operativo e – soprattutto – salito agli onori della cronaca per aver dato vita ad un Retake decisamente sui generis. “Un lunedì ci siamo incontrati per un Retake nel quartiere ed abbiamo notato un ragazzo che rovistava nei cassonetti: veniva dal vicino centro per rifugiati (il “Namaste”, ex hotel di via Grappelli gestito dalla cooperativa ABC, ndr). Appena ci ha visti ci ha guardati in modo un po’ strano. Poi però si è avvicinato, si è unito a noi e ha iniziato a darci una mano”. A parlare è Francesco Ortolani, che insieme a Bruno Foresti – entrambi membri del Comitato – ha avuto così l’idea di coinvolgere alcuni ospiti del Centro per l’incontro di sabato 13: “In strada eravamo una settantina: 20-25 membri del movimento e 40-45 rifugiati. Insieme abbiamo pulito le strade intorno alle scuole del quartiere, per renderle dignitose prima del rientro in classe dei bambini”.
Accoglienza calorosa anche da parte dei residenti: “ad un certo punto da una finestra hanno lanciato delle merendine: sono sparite all’istante” racconta Francesco. E’ merito del Comitato se ora, nel quartiere, i rifugiati sono guardati con meno diffidenza rispetto all’inizio: “il centro ha aperto ad aprile” racconta “piovendo letteralmente dall’alto. La cittadinanza non è stata informata e ha saputo tutto a cose fatte”. Inevitabile il sospetto in un quartiere che aveva già vissuto tensioni per le occupazioni della palazzina di Via Cerruti. Ma la diffidenza si può abbattere a colpi di raschietto, e coinvolgere il centro per i rifugiati nella vita di quartiere è un mezzo per favorire la conoscenza reciproca: ecco perché sabato 20 alle 9 si terrà il secondo Retake in collaborazione con il centro Namaste.
Ma dove nasce il Retake? Nel II Municipio, per la precisione nel quartiere Trieste. E ad inventarlo è stata una docente di nascita americana ma anche cittadina italiana, residente a Roma da 28 anni, Rebecca Spitzmiller. “L’idea mi è venuta cinque anni fa” racconta Rebecca “quando ho scoperto che potevo rimuovere le scritte sulle colonne davanti casa con il Fornet. Una società privata mi aveva chiesto 10.000 euro per ripulire tutto, io ne ho spesi 45 e una settimana di lavoro”. Rebecca, da buona americana, conosce bene il valore del fai da te: “Qui a Roma vige spesso un senso di indifferenza e di rassegnazione. Ho iniziato perché più mi guardavo attorno e più pensavo: ‘o torno negli USA o faccio qualcosa’”. E qualcosa ha fatto davvero: con il sostegno delle sue amiche e della Fondazione Giuseppe Garibaldi ha dato vita a un piccolo gruppo di volontarie per il decoro il cui motto era – ed è ancora – Wake up, Speak up and Clean up!, perché il modo migliore per reclutare volontari era cercarli nelle scuole, e se la moneta di scambio è l’inglese, tutto diventa più semplice.
La scuola italiana non è esattamente esempio di snellezza burocratica. Le scuole internazionali, invece, che prevedono un gran numero di ore di volontariato prima della consegna del diploma, erano ben liete di scambiare delle lezioni gratuite di educazione civica in inglese con un po’ di pratica sul campo. Ci si incontrava in venti ogni giovedì per ripulire la chiesa di S. Emerenziana: gli studenti hanno aderito entusiasti, restando nei gruppi Retake anche oltre il termine della scuola. A quel punto è stato più semplice coinvolgere altre strutture, questa volta italiane: la Cristo Re, ad esempio, ma anche il Liceo De Sanctis, che ha partecipato
Il fenomeno ha iniziato a diffondersi, al punto che persino Nicholas J. Giacobbe, addetto culturale presso l’Ambasciata statunitense a Roma, è diventato un convinto Retaker. Alcune associazioni si sono interessate al movimento: tra queste Save The Children ed Amnesty International, che in occasione dell’evento organizzato da Civico Zero, Les Maisonettes, ha chiesto ai volontari Retake di ripulire la sede di via dei Bruzi che avrebbe ospitato la mostra d’arte con le opere di Olivier Dipama e Mohamed Keita.
Il Retake è per alcuni un modo di stringere amicizie, ritrovare un senso di famiglia. Ycnaduy Gangi ha cittadinanza venezuelana ed americana, ma studia a Roma da un anno. E parlando di un retake che ha visto coinvolti grandi e piccoli dice: “È bellissimo vedere i bambini con i loro genitori che si uniscono per il bene della comunità”.
Una comunità che si allarga a vista d’occhio, anche se tra i partecipanti virtuali e quelli reali c’è uno scarto numerico significativo. Eppure, fa notare Rebecca, il beneficio c’è: “se in un gruppo Facebook di 12.000 persone anche solo la metà si impegna in piccoli atti pratici senza partecipare necessariamente ai retake, avremo 6.000 persone con una sensibilità civica importante”.
Non serve molto, insomma: “a volte bastano anche solo piccoli gesti quotidiani”.
Veronica Adriani
(17 settembre 2014)
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