A pochi passi dalla metro Cavour, di fronte ad una piccola libreria ed in condivisione di spazi con una scuola, c’è la redazione di Cina in Italia, rivista mensile, bilingue, italiano e cinese, dedicata alla reciproca comprensione tra cinesi e italiani. Hu Lanbo ne è l’energica direttrice e volentieri si racconta, parlando di questo progetto editoriale, che compie quest’anno 13 anni di vita. “Abbiamo iniziato prima con una rivista in cinese, e dopo alcuni anni, nel 2007, quando ci siamo resi conto che numerosi italiani avevano il desiderio sincero di conoscere la cultura cinese in tutte le sue molteplici sfaccettature, abbiamo iniziato a scrivere anche in italiano”. Il risultato è oggi in edicola ed in altri punti di rivendita: una rivista patinata nella quale si mescolano articoli in italiano ed in cinese, con argomenti d’interesse trasversale trattati da un altro taglio di occhi. Infatti la redazione di Cina in Italia si compone di 4 donne italiane e 3 cinesi “per adesso siamo tutte donne” sottolinea sorridendo Hu Lanbo. “Il mio obiettivo iniziale è stato quello di aiutare i cinesi ad inserirsi nell’ambiente italiano, poi mi sono resa conto che l’esigenza era reciproca. Ho perciò dato vita ad un giornale che permettesse alla comunità cinese di mantenere i rapporti con le proprie origini senza tuttavia perdere l’occasione d’inserimento nella realtà italiana che vivono quotidianamente”.
La direttrice evidenzia come i cinesi, nei media italiani, siano spesso protagonisti di fatti di cronaca nera “e questo è decisamente riduttivo per la nostra comunità”. E richiama alla memoria l’episodio riportato da Roberto Saviano che, in estrema sintesi, riecheggiava il concetto di i cinesi non muoiono mai, “In realtà, il nostro comportamento verso i morti è strettamente collegato alla nostra cultura: è tradizione che i cinesi non muoiano fuori dal proprio paese” scrive Hu Lanbo nel suo libro “La strada per Roma”. Lasciare il proprio paese era equiparabile ad un vagabondaggio senza meta, cui almeno dopo la morte bisognava porre rimedio. Perciò, riportare le salme dei defunti in Cina risponde esattamente a questa tradizione secolare, come in qualche modo indicato dall’antico adagio ricordato da Hu Lanbo “le foglie cadute dall’albero tornano alle radici”.
Allo scopo di porre rimedio a questa incomprensione, che è solo una delle numerose che occorrono tra cinesi ed italiani, Hu Lanbo intende il suo lavoro di giornalista come una vera e propria missione da ottemperare in modo da diffondere una conoscenza reale e basata sull’esperienza diretta di chi in Cina ci è veramente nato, per creare un ponte. Le basi del cambiamento sono da ritrovarsi, come spesso accade, nella scuola, bisogna iniziare dalla formazione dei docenti, che a loro volta formeranno i cittadini di domani, insegneranno tolleranza, conoscenza dell’altro, abbattendo barriere, e facendo crescere persone consapevoli e non nutrite da stereotipi. “Oggi viviamo la globalizzazione, che non ammette alternative o ci si è dentro o se ne rimane tagliati fuori”.
“Vivo in Italia da 25 anni ed ho potuto constatare dei cambiamenti e dei passi avanti da parte di entrambe le comunità. Ma con essi arrivano anche nuovi obiettivi da raggiungere”. Come accade per le seconde generazioni, i cinesi nati e cresciuti in Italia. “Al contrario dei genitori questi giovani non si accontentano della soddisfazione economica, vogliono di più, mirano all’eguaglianza con i coetanei italiani”. Cambia la mentalità dei cinesi dunque e con essa dovrebbe innescarsi un circolo virtuoso che coinvolga anche quella degli italiani. L’importante è comunicare. Un merito che a Hu Lanbo è stato riconosciuto anche dal Presidente della Repubblica italiana che le ha recentemente conferito la medaglia di Cavaliere dell’ordine della Stella d’Italia, per i suoi contributi agli scambi culturali tra Cina ed Italia.
Piera Francesca Mastantuono
(6 novembre 2014)
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