“Per evitare abbandoni, emarginazione e marginalità degli alunni stranieri si auspica la continuità educativa fra famiglia e scuola” ha dichiarato Francine Rosenbaum intervenuta giovedì 22 gennaio a Roma, all’Istituto comprensivo Mazzini, all’incontro La migrazione familiare e il blocco nell’apprendimento della seconda lingua degli alunni stranieri, organizzato da Piuculture.
Nella scuola i bambini, o i fratelli maggiori, assumono spesso il compito di traduttori, questa posizione è delicata e comporta un grande rischio per l’equilibrio familiare e sociale. Se il traduttore è il ragazzo, questo ruolo stravolge le gerarchie generazionali nelle famiglie e quelle del dominio del sapere nella scuola, con genitori e insegnanti in situazione di dipendenza e senza possibilità di svolgere l’autorità genitoriale e pedagogica. Il sapere supposto che i figli attribuiscono ai genitori non esiste più. Il dominio delle due lingue mette l’allievo in posizione patogena rispetto alle conseguenze nello sviluppo cognitivo, e quindi psichico, andiamo al di là del problema dell’italiano, diventa un problema di identità. Viene svalutata la credibilità di adulti siano essi genitori e/o operatori scolastici. Gli incontri scuola famiglia si trasformano in esperienze di umiliazione.
I frequenti conflitti fra genitori e insegnanti comportano la necessità del mediatore linguistico culturale che favorisca la dinamica interna e apra alla convalida rispetto alle nuove proposte. Il mediatore realizza continuità operativa fra famiglia e scuola attraverso il riconoscimento reciproco. I genitori vengono riconosciuti come competenti, invece se non sono considerati voci di riferimento, sono di fatto squalificati dalle istituzioni scolastiche e di conseguenza viene resa impossibile la condivisione degli obiettivi scolastici
La sfida è riuscire ad ascoltare, in presenza dei ragazzi, chi ha portato la famiglia e l’alunno in una scuola diversa da quella frequentata dai genitori, su questa narrazione si può ricostruire: la comunicazione porta a un processo reciprocità e resilienza.
In sintesi si tratta di ripensare l’accoglienza degli alunni stranieri nelle scuole:
– attivando risorse della lingua materna: incontri con mediatori dove operatori e genitori si presentino con il loro nome, con il ruolo e con la propria storia affinché si attui una condivisione rispettiva per trovare soluzioni comuni alle problematiche dei ragazzi. Si arriva così alla riappropriazione delle risorse reciproche grazie all’incontro narrativo
– con il riconoscimento attivo del ruolo fondamentale della lingua materna
– con la conferma dell’autorità genitoriale grazie alla mediazione linguistica e culturale
“Una frustrazione linguistica diventa sociopatia,” conclude Francine Rosenbaum “la soluzione è la prevenzione, che ha un costo – quello del mediatore che mette in comunicazione scuola e famiglia – che ne fa risparmiare altri più onerosi: psicologo, logopedista, ecc. Si tratta di un esborso di molto inferiore a quello generato dalle turbe linguistiche e sociali che comporta il misconoscimento della lingua madre. La scuola è lo spazio fondante per l’integrazione, che passa attraverso la narrazione, dove ognuno possa condividere con gli altri le proprie specificità interculturali”.
Nicoletta del Pesco
(28 gennaio 2015)
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