Un’opinione pubblica italiana disorientata di fronte allo scoppio delle primavere arabe nel 2011 e ai successivi fatti nell’area mediterranea, e un’informazione dai facili entusiasmi e dai giudizi affrettati, a tutto danno di un’efficace analisi delle vicende: da queste premesse si è costruito il dibattito Giornalismo e non giornalismo nel vicino Oriente, che si è tenuto il 27 febbraio all’università La Sapienza.
All’incontro hanno partecipato giornalisti di media mainstream e di nicchia, secondo un’iniziativa del comitato a sostegno di Khaled Bakrawi, attivista siro palestinese ucciso a Damasco dal regime di Assad nel 2013.
Joshua Evangelista di Frontiere news ha posto l’attenzione sull’atteggiamento schizofrenico degli organi d’informazione italiani. “Dall’assoluta latitanza durante i quattro anni di emergenza umanitaria in Siria teatro di guerra civile, si è passati all’isteria generalizzata caratteristica di questi tempi, segnati dall’avanzata dell’Isis”. La selezione di notizie muove dalla portata scenicamente televisiva dei temi ad oggetto, a discapito della veridicità dei fatti e della verificabilità delle fonti. “Sono state ingigantite paure ingiustificate; si sono coinvolti in giudizi ed analisi giornalisti ed opinionisti poco competenti in materia” ha denunciato Evangelista. “Di fronte ad un flusso di informazioni spesso falsate o presentate in modo poco onesto, generatrici di stereotipi, siamo tenuti a tutelarci come fruitori”, sebbene questo non esoneri il lettore dalla responsabilità di ricorrere a fonti attendibili.
Un altro elemento distintivo di parte del giornalismo odierno è la macchina del fango islamofoba, messa in atto in modo esemplare nei confronti delle volontarie in Siria Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Accuse infondate di contatti e amicizie con criminali e terroristi rischiano di denigrare la solidarietà di quanti si adoperano per fare del bene.
Quale soluzione alla cattiva informazione e alla disinformazione? Riccardo Cristiano, giornalista RAI, la individua nella de ideologizzazione del giornalismo: “Bisogna evitare dicotomie e schieramenti. Ogni fatto è il prodotto di dinamiche complesse, e non può essere relativizzato e depotenziato”. In riferimento al fronte caldo del vicino oriente, Cristiano ha spiegato: “Storie decennali di negazione di libertà e diritti alla persona sotto regimi politici nazionalisti di tendenza laica o laicista hanno acceso fondamentalismi. Il fallimento di questi regimi ha favorito l’aggregazione di comunità in luoghi di culto, e il loro dissenso verso l’ annientamento della propria identità. L’islam è così diventato attore politico”.
La trattazione degli esteri come frutto di studio deve privilegiare le fonti sul campo e le ricerche di analisti, tecnici ed accademici, che rappresentano una risorsa per il giornalismo. Cecilia dalla Negra dell’osservatorio Iraq e Medio Oriente ha ribadito il dovere di rifuggire la tuttologia, per non ridurre la professione giornalistica a puro esercizio di stile. “La necessità di semplificazione per un’ informazione sempre più a portata di click si ispira alla vendibilità delle notizie e all’effetto sensazione. Per non parlare del peso delle scelte editoriali nella selezione delle stesse”. Tra gli esempi al riguardo, basti considerare lo spazio mediatico riservato alle presunte dipendenze di Al Baghdadi da droga e alcol e ai suoi orientamenti sessuali, a dispetto della scarsa analisi sull’Isis e la sua evoluzione.
La conferenza è stata la prima di una serie incontri organizzati dal comitato di Khaled Bakrawi per un percorso di conoscenza sui legami e le dinamiche dei popoli del nord Africa e del vicino Oriente, nell’intento di ricostruire un atteggiamento di solidarietà collettiva. I prossimi appuntamenti sono previsti alla Sapienza il 12 marzo con un’ iniziativa di informazione e dibattito sulla Siria, e il 27 e 28 marzo con il convegno Vicino Oriente: popoli tra rivoluzione, dittatura e terrorismo.
Clara Agostini(4 marzo 2015)
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