Dove vanno le donne straniere quando non possono tenere un figlio e vogliono abortire? Di sicuro, chi ha deciso, chi è irremovibile, non va al Segretariato per la vita Onlus. Al Segretariato – a pochi passi dall’Auditorium Parco della musica- ci vanno le mamme che hanno bisogno di pannolini e latte, chi ha scelto di non abortire e chi è in forse. Sì, arriva qui anche chi è in dubbio, e come racconta Patrizia Lupo, assistente sociale e responsabile della sede operativa, non solo stranieri, ma anche professori, dottori e giovanissimi italiani. Chi si aspetta uno spazio grande, con sala d’aspetto e tante sedie, si ritrova invece in una piccola stanza dell’edificio della parrocchia San Valentino, tra qualche valigia e borsa con dentro magliettine, bavaglioli, asciugamani. Qualche minuto prima di iniziare l’intervista bussano alla porta. Una signora consegna una busta. Patrizia la apre e mi mostra un maglioncino blu “La signora Bettina. Lo ha fatto a mano, è un’anziana del quartiere”. Il Segretariato è il più frequentato dei circa 250 Centri di Aiuto alla Vita sparsi per l’Italia, e confederati al Movimento per la Vita. Orgogliosi della propria identità cattolica, che appare chiara nel loro statuto.Di cosa si occupa il Segretariato?Il nostro è un centro di aiuto alla maternità difficile, dove lavorano quattro operatori in sede e venti volontari sul territorio. Operiamo avvalendoci di tutte le figure utili ai casi che trattiamo – avvocati, ostetriche, psichiatri, psicologi – e in contatto frequente con i consultori.Chi usufruisce dei vostri servizi?Ogni anno circa 400 donne, sono i nuovi contatti che arrivano al centro. Per la maggior parte straniere, provenienti da circa 70 nazionalità, ma anche italiane. Molti anni fa arrivavano tantissime donne polacche e filippine, oggi in larga parte sono rumene, anche se la crisi si fa sentire. L’edilizia si è fermata e i muratori rumeni trovano meno lavoro, così decidono di ritornare a casa con le famiglie. Notiamo anche un calo nell’assistenza agli anziani. Su tutte, comunque, le più presenti sono le nigeriane. A Roma sono una grossa comunità e vengono dalla Borghesiana, da Finocchio, Casilino, Cave e altre zone della capitale.Al di là dei numeri e delle nazionalità, chi sono le persone che vengono qui?Molte arrivano dalla strada, dal mondo della prostituzione. Sono costrette, dietro inganno, a prostituirsi. Difficilmente loro, come le altre che vengono qui, vanno nei consultori o in altri luoghi pubblici, dove non avendo il permesso rischierebbero di essere espulse.E chi sono le altre che arrivano nel vostro centro?Tante sono donne che per vivere vendono monili, calzini, cerotti e fanno le treccine. Non riescono a trovare un lavoro e questo è il loro modo per sostenersi. Sia che ci si prostituisca o che si vendano oggettini in strada, l’arrivo di un figlio vuol dire che l’economia famigliare si ferma. Guadagnando 250-300 euro al mese tutto si complica. Spesso gli uomini dicono loro “vai ad abortire”. Molte vengono abbandonate e così iniziano il giro di tutti i centri, in cerca di pannolini, carrozzini, latte.Sono informate sul fatto che potrebbero anche dare alla vita un bambino e poi darlo subito in adozione?Lo sanno ma tutte, proprio tutte, dicono “faccio un figlio per darlo ad un altro? No, meglio abortire”Cosa fate per loro?Prima di tutto le ascoltiamo. Sono circa 60 al mese le donne che vengono al centro, considerando sia le nuove che le già transitate da qui. Di media, con ognuna, stiamo un’ora e mezza . Hanno difficoltà con la lingua ed è importante dedicare loro il giusto tempo. La parte più consistente del nostro aiuto arriva attraverso il progetto Gemma (Fondazione Vita Nova). Entro tre mesi dalla gravidanza le mamme possono richiedere il sostegno attraverso questo progetto e per 18 mesi ricevono 160 euro mensili. In più facciamo orientamento ai servizi e sensibilizzazione per l’allattamento al seno.Come vi ponete di fronte all’aborto?La nostra posizione è chiara. Noi facciamo consulenza alla vita. Viene qui chi ha bisogno di aiuto materiale dopo aver partorito, chi ha scelto di far nascere il figlio e chi è in una fase di grossa ricerca. E non vengono solo straniere ma anche professori, ragazzi di 15 e 16 anni.Per quale motivo vengono qui anche ragazzi giovani e dottori, professionisti?Semplicemente perché una gravidanza inattesa li manda in crisi, iniziano a confidarsi. Per esempio i ragazzi iniziano a parlare nelle scuole con i compagni, a volte con i professori e magari alla fine dicono loro “perché non vai a parlare con quelli del Segretariato”. Ho appena incontrato una ragazza che mi ha detto che solo grazie all’ascolto che le abbiamo offerto ha deciso di non abortire. È andata in un consultorio, ha seguito tutto l’iter e poi ci ha ripensato. Quando ha finito di parlare con me mi ha detto che nessuno l’aveva ascoltata come abbiamo fatto noi. Eppure la legge prevede l’ascolto approfondito di chi si appresta ad abortire. Che intende?La legge, la 194, prevede un iter in cui prima di ottenere il certificato dal consultorio o dal medico curante per poi recarti, dopo 7 giorni, ad abortire, i servizi debbono esaminare le possibili soluzioni dei problemi proposti, aiutare a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza. Nel caso della ragazza con cui ho appena parlato ciò non è accaduto, come magari sarebbe dovuto accadere. Questo vi pone in contrasto con gli altri servizi di aiuto alle donne, come vi ponete in questo mondo?Ci sentiamo perfettamente integrati e contemplati dalla legge. Siamo una voce. Consapevoli della nostra posizione netta a favore della vita e come sempre pronti a spogliarci di tutto per dialogare, non negando la nostra scelta e identità
Fabio Bellumore(27 maggio 2015)