Una partita per la Giornata Mondiale del Rifugiato: è questo Io ci sono, evento organizzato dalla Fondazione Mondo Digitale che il 19 giugno vedrà in campo a fronteggiarsi i rifugiati di alcuni centri di accoglienza di Roma e le scuole calcio. Un pomeriggio di accoglienza, in cui per il quinto anno consecutivo il campo dell’istituto Santa Maria aprirà le porte alla Fondazione e ai suoi sostenitori. Qualche nome? CIR, UNHCR, IDOS, Matemù, Shoot4Change. E un nuovo media partner: Piuculture.
La si può definire partita, ma in realtà Io ci sono è qualcosa di più. Perché l’idea di sfidarsi a colpi di pelota viene da Alfonso Molina, oggi brillante direttore scientifico della Fondazione, ma negli anni ’70 esule dalla dittatura cilena e – lui stesso – rifugiato politico in Gran Bretagna. “C’è bisogno di buone notizie in un momento così negativo” commenta. “Le organizzazioni che parteciperanno rappresentano un pezzetto della società civile che decide di celebrare questa giornata. È importante continuare a farlo”.
È importante soprattutto quando dalla politica arriva la proposta di incentivi a chi rifiuta l’accoglienza, dipingendo il migrante come un usurpatore di risorse non sue. Ad Alfonso Molina, che nel ’73 ha vissuto l’esilio sulla sua pelle, l’immedesimazione con chi entra in un centro di accoglienza riesce facile: “dico sempre che un rifugiato è come una piuma al vento: non sa mai dove finirà. Quando arriva in un paese straniero deve reinventarsi un mondo, fatto di lingua, amici, lavoro. Deve ricominciare da capo. Per questo se un paese accetta di offrire un rifugio ad una persona in difficoltà, non basta che le dia ‘tetto e mensa’, deve fare qualcosa di più”.
Costruire un percorso di integrazione e crescita significa dare accesso a tutte le risorse. È recente l’ondata di sdegno collettivo che nelle scorse settimane ha colonizzato i media con la notizia dei migranti ingrati che abbandonavano alberghi senza tv e wi-fi. Eppure “Internet è un diritto”, taglia corto Molina, che dell’uso della tecnologia per l’integrazione delle fasce deboli della società ha fatto una filosofia di vita (e di lavoro). Perché non si tratta solo di garantire il contatto con la famiglia e con la terra natale: “chi non ha accesso a internet resta fuori da un mondo” spiega. “Internet è un altro mondo che si integra con quello fisico. Capirlo bene serve per trovare lavoro, comunicare con un’azienda, imparare una professione. Non si capisce perché chi sta cercando di costruire qui un percorso di crescita e integrazione debba farne a meno “.
Una predica senza seguito? Assolutamente no. Da anni la Fondazione Mondo Digitale lavora con i rifugiati e mette in atto programmi di formazione specifica: certificazioni informatiche (la Microsoft Digital Literacy), corsi di educazione civica, Internet Cafè per socializzare e imparare ad aiutarsi. Il tutto, senza dimenticare la lingua, al punto che l’italiano dei manuali in breve tempo viene sostituito da una versione di quello che Molina definisce “Italiano per rifugiati”, con glossari, spiegazioni, grammatica semplificata: “abbiamo introdotto nelle altre materie degli insegnamenti nascosti di lingua italiana”, ridacchia il direttore, che sa che quegli insegnamenti hanno dato i loro frutti, eccome. I ragazzi più brillanti sono diventati a loro volta formatori e mediatori culturali, o hanno ottenuto collaborazioni all’interno della Fondazione. Hanno trovato, insomma, il loro posto nella società.
Molina è cosciente di aver potuto realizzare il suo sogno nel paese di Queen Elizabeth grazie a un progetto governativo di accoglienza ben strutturato. Una borsa di studio per imparare la lingua e proseguire i suoi studi in Ingegneria; l’ospitalità di chi ha aperto ai rifugiati le porte della sua casa (“era una persona del partito conservatore”, ricorda Molina, “eppure ha ospitato uomini di tendenze politiche opposte”); un welfare che gli garantisse un minimo di sicurezza economica. Sarebbe possibile oggi? Forse no. Ma i 2,50 euro al giorno stanziati per ciascun migrante e le recenti vicende di Mafia Capitale individuano responsabilità che vanno oltre la crescita dei numeri e l’inadeguatezza delle strutture. Soluzioni? Un’Europa realmente solidale: “parlare di blocchi navali o aiuti a distanza è solo retorica. Quando un barcone affonda ci si affretta a fare dichiarazioni, ma nel giro di tre giorni la tragedia diventa statistica” conclude Molina. “La capacità di non reagire di fronte a tutto questo è quanto di peggio possa accadere alla solidarietà umana”.
Veronica Adriani
(10 giugno 2015)
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