Secondo i dati Istat sono 352.265 gli stranieri presenti a Roma, nel 2011, e l’8.4% sono non comunitari. Si tratta di numeri in costante aumento. Dalla metro Rebibbia c’é un autobus, il 437, che percorre un tragitto conosciuto ad ogni cittadino non comunitario che viva nella capitale, serve a raggiungere via Teofilo Patini 19 dove si trova la questura di Roma, che dal 2004 é diventata sede dell’ufficio immigrazione.
Sotto il sole che apre le porte all’estate, ci sono storie che hanno un volto e ritraggono il sacrificio, la stanchezza e la soddisfazione di essere lí. Varcato l’enorme cancello grigio, le persone con in mano cartelline di documenti, il loro biglietto da visita, sull’attenti e quasi ad evidenziare l’importanza di essere riconosciuti, comunicano con gli sguardi, tanto che conoscere l’italiano non sembra d’obbligo. Chiedono informazioni, si mettono in fila e aspettano. Si muovono in gruppi, all’unisono, sotto il ritmo così scandito dei militari di turno. Si sentono pianti di bambini nel passeggino ed il suono dei freni dell’autobus che porta altre persone per la questura.
Tra queste lunghe attese, emergono storie che vorrebbero essere urlate. La vita di Maria sembra un bivio, è partita dal Perù e vorrebbe ritornarci al più presto ma il lavoro non glielo permette. “Sono a Roma da quindici anni, mi mancano i miei quattro figli e nipotini, guadagno il minimo per sopravvivere come colf”. Con un sospiro ammette di sapere molto poco delle leggi per gli stranieri non comunitari e la tutela dei suoi diritti nel risente, ” non so se riuscirò mai a prendere la pensione grazie al lavoro qui e a ritornare definitivamente in Perù, dalla mia famiglia”.
C’è poi la storia di Elsa, filippina, che confida “nel mio paese lavoravo nei campi di riso per poter prendere il diploma di ostetrica. Ci sono riuscita ma ora, in Italia, faccio la colf in una famiglia”. Proprio Elsa che con determinazione ha rinunciato al suo primo impiego perchè il datore di lavoro non comunicava con lei se non sporadicamente, ed in inglese ” mi sono resa conto che non avrei mai imparato l’italiano. Ora l’unica cosa che voglio è dimostrare che conosco i miei diritti di lavoratrice. “
La giornata si conclude con un dubbio, arriverà mai il giorno in cui l’extracomunitario non sarà più considerato come un numero ma semplicemente come ricchezza. È utopia o speranza?
Louie Anne Malazan
(18 giugno 2015)