Il 70esimo anniversario della liberazione dall’occupazione nazifascista per l’Italia fa da pretesto alla rinnovata attenzione pubblica per il tema della memoria quale prerogativa sociale e politica, secondo un senso di responsabilità collettiva che impone la conoscenza ed il riconoscimento dei fatti passati. Tuttavia, la memoria non si ferma ai confini della storia. Michela Ponzani, consulente dell’archivio storico del senato della Repubblica italiana, lo ribadisce nel suo ultimo libro Figli del nemico. Le relazioni d’amore in tempo di guerra 1943-1948, presentato il 20 luglio al circolo della Pipa a Roma.
Nelle sue pagine, Ponzani affronta il lascito della seconda guerra mondiale nella sfera degli affetti e dei legami famigliari nati all’epoca degli scontri, come ha spiegato Carlo Smuraglia, presidente ANPI, nel suo intervento d’introduzione al lavoro della storica: “C’è un’altra resistenza oltre a quella armata, esperita tra gli eserciti nemici: è la resistenza di persone che hanno combattuto nel campo dei rapporti umani”. Ponzani ha attinto a testimonianze documentate nell’archivio segreto vaticano e nell’archivio delle Nazioni Unite, e ai racconti diretti di coloro che vissero relazioni sentimentali di varia natura durante il conflitto. Sulla scia dell’attività del gruppo di ricerca della commissione storica bilaterale italo-tedesca, la sua indagine ha fatto luce su lati oscuri del recente passato, richiamandosi alla “storia vissuta sulla carne e sulla pelle delle persone”. Italia e Germania, dapprima alleate e poi nemiche in guerra, hanno taciuto vicende di internati italiani deportati nei lager nazisti e schiavizzati nelle fabbriche di Hitler, e relazioni d’amore e d’amicizia nate sul territorio italiano tra gli occupanti tedeschi, membri della Wermacht e delle SS, con la popolazione civile. “I figli della colpa e della vergogna, frutto di rapporti coniugali o extraconiugali con il nemico, nel dopoguerra erano un simbolo di disvalori, in una nazione intenta a ricostruire la propria identità”: con queste parole con l’autrice ha riassunto il significato del titolo del suo libro.
Dalla rimessa in discussione delle politiche di ricostruzione della memoria pubblica, all’epoca della caduta del blocco sovietico nel biennio 1989-1991, sono state fatte riemergere diverse storie dei figli della guerra. Il lavoro di Ponzani ha previsto anche l’analisi delle forme di assistenza per bambini abbandonati dalle madri in orfanotrofi e brefotrofi, dove vessazioni ed umiliazioni per questi figli di guerra erano il mezzo di espiazione dell’acquisita colpa morale. “L’Italia era fabbrica di orfani e bacino di compravendita, quando nel dopoguerra due milioni di bambini risultavano senza famiglia. A molti è stato negato il diritto d’identità: l’impossibilità di conoscere le proprie origini biologiche derivava da quel tabù sociale che condannava le madri quali amanti del nemico e spie del tedesco invasore. Ricordi sulla Germania nazista compromettevano la ricostruzione dell’identità dello stato, che voleva evitare richiami scomodi della sua storia. Per altri bambini, la presa in adozione da parte di famiglie americane è avvenuta attraverso annunci di messa in vendita, come fossero merci da acquistare. Nessuna attenzione era prestata agli aspetti psicologici dei bambini e al livello di predisposizione al ruolo dei futuri genitori ”.
Il percorso di crescita e maturità di tanti figli del peccato non ha previsto un sistema di educazione e di istruzione fondato su politiche di inclusione finalizzate a contrastare forme di disagio famigliare e sociale. In Italia un impegno in tale direzione proviene oggi dal Miur, che innalza ad imperativo comune l’inserimento dei bambini nelle scuole, secondo un principio di equilibrio tra dimensione individuale e dimensione collettiva.
Clara Agostini(22 luglio 2015)
LEGGI ANCHE:- Figli dell’immigrazione… e di una legge che fabbrica stranieri;- La cittadinanza negata a due giovani rumeni: cambiate la legge!