“Siamo giovani rom, sinti e non rom, italiani e stranieri. Non accettiamo più che i nostri figli vivano in un paese di ghetti, separazioni, disuguaglianze, povertà, odio e razzismo, né oggi, né domani. La memoria di ciò che è stato, e la consapevolezza di ciò che è, sono per noi la spinta verso la costruzione di una storia diversa”. Comincia così il manifesto della Primavera Romanì, che un gruppo di attivisti per i diritti rom e sinti ha redatto durante una convention organizzata dall’Associazione 21 luglio.
Trenta ragazzi da tutta Italia hanno deciso di impegnarsi per avvicinare la società e le comunità rom e sinti che da anni viaggiano su due linee parallele, e sembrano non incontrarsi mai. “Per ora è una sfida di pochi”, dice Serena Luna Raggi che ha partecipato alla redazione del documento. “Se mancano i beni di prima necessità come una casa, o l’acqua per lavarsi, fare politica con gli attivisti diventa secondario. È un cane che si morde la coda. Se arrivassero gli spunti positivi dalla società maggioritaria, magari ci potrebbe essere un’apertura anche all’interno”.
Il manifesto passa a rassegna problemi e soluzioni per ogni argomento trattato: giovani, scuola, lavoro e alloggio. E anche se alcune azioni sembrano essere poco efficaci già sulla carta, il documento rappresenta la posa della prima pietra per la “costruzione di una storia diversa”. “Certamente questo è solo l’inizio, il passaggio successivo sarà proporre soluzioni specifiche per ogni comunità”, spiega Serena.
Gli attivisti sono consapevoli di trovarsi tra due muri: da un lato i gruppi di rom e sinti, dall’altro la politica, le istituzioni e i cittadini comuni, da un lato la necessità di superare la resistenza, dall’altro quella di superare gli stereotipi. La questione dell’istruzione ne è un esempio. ”Va detto, esiste una resistenza a mandare i figli a scuola in alcune famiglie molto povere e poco alfabetizzate. Di solito si sacrifica la femmina perché ha il compito di badare ai fratelli più piccoli. Ho incontrato ragazzine di dodici anni che non sapevano né leggere, né scrivere. Quale potrà essere il loro futuro?”, dice Serena.
Al futuro di queste ragazzine dovrebbero pensare le istituzioni, ma alcuni interventi non aiutano. Nel documento gli attivisti denunciano un’accoglienza imbarazzante per i bambini rom nelle scuole italiane: per alcuni di loro c’è l’obbligo di farsi la doccia prima di entrare. “A Roma invece hanno tolto gli scuolabus. Quando vengono eliminati dei servizi, ci sono delle famiglie che fanno la scelta più facile e più sbagliata: smettono di mandare i figli a scuola”, aggiunge Serena.
Lo stesso vale per la questione abitativa: “È vero, se tu dicessi ad alcune famiglie: ‘vuoi andare a vivere in una casa?’, loro ti risponderebbero che stanno bene nei campi, anche se la polizia può arrivare da un momento all’altro a sgomberare. Per questo è importante che la politica cominci ad affrontare seriamente questi argomenti, ma invece gli fa comodo segregare alcuni gruppi”.
Il rapporto delle comunità rom e sinti con la società è tutto un gioco di mancata inclusione e di auto esclusione. “Senza dubbio la colpa è da entrambe le parti, ma bisogna cominciare a parlare dei rom in un modo diverso, bisogna trasmettere con un’ottica diversa”. Ed è proprio nella comunicazione tra questi due mondi che gli attivisti cercano il modo di far crollare le barriere. “Sarà un lavoro lungo e faticoso, non sarà uno scherzo. Ma proviamoci”, conclude Serena.
Rosy D’Elia
(11 novembre 2015)
Leggi anche