“La questione oromo in Etiopia è molto più antica e complessa del Master Plan”, così Tsedale Lemma, direttrice della rivista Addis Standard che si occupa di temi socio politici ed economici, commenta le proteste che hanno acceso i riflettori sull’Etiopia. A causa del Master Plan, approvato nel 2014, il governo ha confiscato e venduto a investitori esteri terre appartenenti ai contadini oromo, un’etnia che costituisce circa il 32 per cento della popolazione ed è tradizionalmente impegnata nell’agricoltura. La notizia è arrivata fino a Roma con i migranti che hanno fatto tappa alla struttura gestita dalla Croce Rossa in via del Frantoio. Non è un caso se nell’ultimo periodo il numero dei migranti etiopi, come hanno notato gli operatori, è cresciuto notevolmente.
Il piano del governo è stato sospeso a gennaio ma a distanza di mesi le proteste non si fermano, “il modo in cui il piano è stato annunciato e come è stato sospeso non ha alcun fondamento legale. Dopo una lunga storia di emarginazione, le proteste continuano per almeno tre ragioni: il diritto all’autodeterminazione, una giusta allocazione delle risorse e dei benefici economici, il riconoscimento dell’identità e della lingua oromo”.
E se ostinata è la protesta, più dura è la repressione: “I diritti umani, lo stato di diritto e la libertà di stampa non hanno mai raggiunto livelli incoraggianti in Etiopia, di recente le misure antiterrorismo e le nuove leggi sui media hanno legittimato la repressione. Purtroppo, andiamo di male in peggio”, afferma Tsedale Lemma.
Ma i disordini per il Master Plan sono solo la punta dell’iceberg di una situazione estremamente controversa. Il Fondo Monetario Internazionale classifica l’Etiopia tra le cinque economie che crescono più rapidamente al mondo, e allo stesso tempo la mancanza di cibo, causata dalla siccità, minaccia di morte ben 10 milioni di persone. Mentre il paese fa gola agli investitori di tutto il mondo, che hanno uno sguardo troppo lungo per accorgersi della fame, delle proteste e delle repressioni, gli etiopi continuano a pagarne i conti.
“Quello che è successo negli ultimi quattro mesi ha segnato un cambiamento drammatico rispetto a come il partito di governo considera gli affari: si è verificata una rottura decisiva con il popolo. Le persone in Oromia non sono più disposte ad accettare il loro status quo. A dispetto di ciò che dice la propaganda, sappiamo sulla nostra pelle che la vita come la conoscevamo, nella regione più estesa del paese, è stata totalmente stravolta. Non voglio dare una previsione catastrofica, ma nessun paese al mondo è sopravvissuto a una situazione come quella che stiamo vivendo senza un tracollo”, commenta il direttore.
“Il benessere è concentrato nelle mani di un’elite collegata all’EPRDF, il Partito Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope che è al governo. La crescita galoppante del PIL raramente si traduce in uno sviluppo vero e proprio a livello umano. Negli anni il paese è sempre stato considerato tra i più poveri dallo Human Development Index delle Nazioni Unite”, commenta. “La finanza e i progetti infrastrutturali, siano essi dighe, strade, ferrovie e grattacieli, sono considerati come indicatori di un’economia in crescita”. Ad Addis Abeba, infatti, è stata inaugurata recentemente la prima metro dell’Africa sub sahariana e la costruzione della Diga Gerd dovrebbe portare l’Etiopia ad assumere un ruolo strategico nel rapporto con gli altri paesi del Nilo. Poco importa se la fame continua ad essere una questione di vita e di morte.
Tsedale Lemma ammette che i collegamenti e le infrastrutture nel paese sono migliorati. “Ma c’è un silenzio preoccupante del governo sulla siccità che sta minacciando milioni di etiopi e su cui non c’è stato nessun annuncio ufficiale. Anzi quando i funzionari di governo, e il primo ministro stesso, fanno appello agli investitori non accennano al problema ma continuano a ripetere il mantra della crescita economica”.
Difficile stabilire se la vera Etiopia sia quella della diga Gerd e degli investitori o quella degli oromo, qualcuno ostinato a protestare e qualcun altro rassegnato a lasciare il paese, ma Tsedale Lemma afferma: “Centinaia di migliaia di giovani ogni anno intraprendono viaggi pericolosi per sfuggire alla marginalizzazione economica, alla mancanza di libertà e all’impossibilità di scegliere. Ci sono diversi segnali che potrebbero far pensare che ci sia un numero di migranti etiopi addirittura superiore a quello degli eritrei. Ma non posso affermarlo con certezza o sostenerlo con dei dati. Vanno considerati alcuni fattori interni, ad esempio l’estensione della popolazione dei due paesi o il fatto che spacciarsi per eritreo rende il percorso più semplice in Europa, perché l’Eritrea è considerata un paese molto più repressivo. Bisogna anche sottolineare che migliaia di etiopi cercano il spostano verso il Sud Africa oltre che in Europa”.
E conclude: “Se il paese diventerà la prossima macchina di produzione di rifugiati, dipende solo da come si verificherà il tracollo, che è imminente”.
Rosy D’Elia
(30 marzo 2016)
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