It’s just a game, è solo un gioco, è il titolo dell’opera che ha vinto la prima edizione del BNL Media Art Festival organizzato dalla Fondazione Mondo Digitale. L’artista ecuadoriana Rosa Jijon ha raccolto, attingendo da internet, le immagini riprese dai droni di sorveglianza nei punti caldi delle migrazioni, le ha confezionate come un videogioco anni ’90 e ne ha fatto un’opera di video arte.
“Guardando le immagini dei droni che sorvolano le frontiere mi sono resa conto che somigliano moltissimo a quelle dei videogiochi: questi fotogrammi, che appaiono tanto distanti, ritraggono il punto in cui si decidono le vite delle persone. Così è nato It’s just a game, che in italiano vuol dire sia gioco che preda, un doppio significato interessante”, spiega l’artista.
Il lavoro in mostra al BNL Media Art Festival ha una continuità con opere già realizzate, Rosa Jijon appartiene alla rete G2, è mediatrice culturale e attivista. Dal 2005 video, foto e suono sono gli strumenti per approfondire il concetto di straniero e di diritto alla mobilità. “Non c’è nessuna novità nelle migrazioni, gli esseri umani non smetteranno mai di muoversi quando c’è una difficoltà, è così che si crea questa grande varietà di genetica e la contaminazione di culture, che io amo”, afferma.
“It’s just a game nasce dal 2011, nel momento in cui ho appreso la notizia che gli aerei telecomandati utilizzati per il bombardamento dell’Afghanistan venivano usati per la sorveglianza delle frontiere. I primi a farne quest’uso sono stati gli americani nella frontiera calda tra il Messico e gli Stati Uniti, ma poi sono stati impiegati anche tra la Grecia e la Turchia o per sorvegliare le coste mediterranee. L’obiettivo è quello di monitorare l’arrivo dei migranti e in alcuni casi per respingerli”.
Per Rosa Jijon trattare le migrazioni nelle opere che realizza significa ampliare il dibattito e portarlo sotto gli occhi degli indifferenti. All’arte riconosce un grande potere: “Può raggiungere pubblici in maniera trasversale con un linguaggio che non sia per forza politicante, può arrivare a più persone, dare nuove visioni. È così che una famiglia si trova al MAXXI a visitare una mostra di arte digitale e finisce per riflettere sulle migrazioni”.
Le due anime, da artista e mediatrice, sono complementari: “Io sono convinta che l’arte abbia la capacità di infiltrarsi nei luoghi che non sono stati già occupati. Non credo che possa cambiare la società, ma può almeno contribuire a dare uno sguardo più attento alle cose che succedono. Se vai nei luoghi in cui si parla di immigrazione trovi intellettuali, operatori sociali, persone impegnate. Tutti hanno già le loro convinzioni quindi non stai cambiando nulla”.
It’s just a game è una provocazione, non è un’opera pessimista, né una critica incondizionata all’uso della tecnologia. “Ci sono molti modi di sfruttare il progresso, ad esempio io vengo dall’Ecuador e la settimana scorsa c’è stato un terremoto, grazie al sistema di geomapping è stato possibile raggiungere paesi isolati che altrimenti non avrebbero potuto ricevere aiuti. L’occidente spesso ha il vizio di pensare bianco o nero, positivo o negativo, ma le cose si compensano, per ogni drone ci sarà un geomapper, per ogni cattiveria ci sarà una buona azione”.
Nel videogame artistico di Rosa Jijon i migranti sono come pedine che si muovono su uno sfondo indefinito, la musica del game over caratteristica di Super Mario Bros fa da sottofondo alle immagini. “I perdenti sono tutte le persone a cui è stato strappato il diritto alla mobilità, quelli che si trovano tra la guerra e la fortezza Europa, o tra la povertà e la fortezza Stati Uniti. Ma perdente è anche tutta la società. Io stessa, da non europea, mi rendo conto che l’Europa sta costruendo un muro, un fallimento per il continente. Dopo tanti anni si sarebbe dovuta costruire un’Europa accogliente, unita, senza frontiere e che accetta le proprie differenze”, conclude Rosa Jijon.
Rosy D’Elia
(27 aprile 2016)
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