Numeri drammatici quelli di un terremoto che da noi non ha fatto notizia. Almeno 659 morti, quasi 30 mila persone senza più una dimora e 120mila bambini che non possono andare a scuola, perché i loro 280 edifici sono distrutti dal terremoto che ha colpito l’Ecuador il 16 aprile scorso. “Molti degli ecuadoriani che vivono a Roma sono delle aree colpite dal terremoto” racconta Andres, Smeraldi, Manabí, Santo Domingo de los tsáchilas, Guayas, Santa Elena. Nel Lazio ci sono circa 10 mila ecuadoriani. Terza regione dopo Lombardia e Liguria, ad ospitare i cittadini dell’Ecuador. In totale, secondo l’indagine istat del primo maggio 2015, in Italia sono circa 90mila, l’1,8% della popolazione immigrata in Italia. Un altro dato indicativo, che ci fa rituffare nella tragedia, è quello delle rimesse economiche. Nel 2014 sono state oltre 127milioni a prendere la via dell’Ecuador. Cosa c’entra tutto ciò con il terremoto? “Le rimesse hanno risollevato il nostro Paese. Dopo il petrolio sono la fonte più importante”.Con quelle rimesse tanti migranti hanno costruito case e attività commerciali. “Per tanti anni abbiamo inviato soldi per costruire un futuro, magari pensando di tornare un giorno. Ho parlato con un mio amico in Ecuador. Mi ha detto che la sua famiglia sta bene. Stanno tutti bene, ma la casa è crollata. Ci erano voluti 10 anni per costruirla”. Dieci anni di sacrifici crollati sotto le macerie. Eppure l’Ecuador non è territorio di terremoti. Il Presidente della Repubblica dell’Ecuador Correa ha detto che ci vorranno anni per ricostruire, con una spesa di un miliardo di dollari. Intanto ha annunciato lo stato di emergenza e varato alcune azioni immediate, come l’aumento dell’iva e tasse su patrimoni elevati.Intanto Andres continua a ricevere aggiornamenti dal suo amico partito in vacanza per l’Ecuador prima del terremoto e trovatosi nel mezzo di questo disastro. “Lui sta bene, anche la sua famiglia, ma intorno a lui è tutto distrutto”. Paesini distrutti, assenza di acqua, gente che dorme negli stati e molti ancora per strada. Questo è quello che gli racconta il suo amico, “accerchiato da palazzi che non si sa più se saranno mai più abitabili”.Nell’ultimo dei giovedì in cui le comunità ecuadoriane si sono incontrate a Roma – di solito si incontrano il giovedì e la domenica per mangiare e stare insieme – c’è stato un ribollir di “cosa possiamo fare?”. Andres, che lavora a Roma e vive da 15 anni, ce l’avrebbe una soluzione, ma le istruzioni dell’Ecuador presenti in Italia consigliano altro. E allora Andres è arrabbiato e in cerca di altro. “Io vorrei raccogliere beni di prima necessità, vestiti e spedirli giù ai nostri connazionali. Mi hanno detto al consolato che per fare una spedizione del genere ci vorrebbero 3mila euro a container e che la via consigliata è quella di raccogliere i fondi e inviarli tramite un conto dedicato”. A quanto pare Andres non si fida troppo, anche se una logica nella richiesta di fondi piuttosto che beni ci potrebbe essere: quella di mettere a disposizione i soldi per fare interventi mirati, piuttosto che beni generici inviati dall’Italia. La partita è ancora aperta. Presto gli ecuadoriani di Roma, e non solo, torneranno a riunirsi e chissà se il sogno di Andres prenderà il volo.
Fabio Bellumore(28 aprile 2016)