Dal 12 al 15 maggio Pozzallo è stata scenario del Festival Sabir organizzato da Arci nazionale con la collaborazione del Comune di Pozzallo e promosso da Caritas, A Buon Diritto, Asgi, Associazione Carta di Roma e Acli.
Il senso della parola Sabir arriva da lontano, ed appartiene alla lingua franca che mercanti di mare usavano per commerciare tra di loro quando s’incontravano. Il festival ha voluto realizzare proprio quest’incontro e sinergia tra i partecipanti, attraverso incontri, dibattiti e confronti. Sarebbe stato bello possedere l’ubiquità per questi tre giorni ma naturalmente non è stato possibile. Tra i numerosi incontri, densi d’interesse, uno di quelli che ha riscosso maggior successo è stato quello sull’attualità dell’hotspot come sistema d’accoglienza, che di fatto non esiste, almeno a livello legale, come rilevato dall’avvocata Nazarena Zorzella di ASGI.
E se il valore aggiunto di scegliere per il Sabir Festival un’isola del Mediterraneo, mare nel quale, nel solo 2015, hanno perso la vita più di 3500 uomini, donne e bambini, quello ulteriore di farlo a Pozzallo è l’hotspot che vi si trova. Durante i giorni del festival una delegazione di associazioni lo ha visitato e ha constatato come “ la maggioranza assoluta dei presenti siano minori, alcuni di non più di 11 o 12 anni. Vivono tutti insieme, in molti casi da più di un mese, in un grande stanzone. Per nessuno di loro sono state attivate le misure di protezione che la legge prescrive”.
Ad aggravare il quadro vi è l’impossibilità di accedere all’hotspot per i giornalisti. La principale motivazione fornita al diniego sono le “esigenze organizzative”. Per questa ragione è stata scritta ed invita al ministero una proposta di mozione per richiedere di garantire alla stampa l’accesso alla struttura ed esercitare così il diritto di cronaca.
Durante il festival è stato possibile constatare come l’incontro, oltre che tra persone, sia anche avvenuto tra teoria e pratica dell’accoglienza.
Piera Francesca Mastantuono
(18 maggio 2016)
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