Hate speech, un progetto europeo per contrastare l’odio

handcuffed-1251664_960_720Il progetto PRISM, Preventing Redressing Inhibiting hate Speech in new Media, co-finanziato dal programma Fundamental Rights & Citizenship dell’Unione Europea e realizzato in cinque Paesi, Italia, Francia, Spagna, Romania e Regno Unito, ha analizzato i principi di diritto europei e internazionali applicabili ai crimini d’odio. Infatti, utilizzare un linguaggio denso d’odio, di hate speech, contribuisce a creare un clima ostile e di tensione.  Il succitato progetto ha cercato di realizzare delle ricerche volte a monitorare la situazione rispetto ai discorsi d’odio nei diversi paesi.

In Italia tale lavoro di ricerca è stato portato avanti da Cittalia, Fondazione ANCI ricerche. Siccome il target principale di riferimento erano i giovani, al fine da renderli consapevoli dell’importanza di un uso corretto e consapevole del linguaggio, sono stati coinvolti nell’indagine 20 giovani tra i 18 e i 30 anni. Di questo campione rappresentativo il 60% sono maschi, il 40% femmine. Inoltre il 47% vive in Italia da oltre 10 anni, il 20% da meno di 3 anni e il 15% risultano nati in Italia. Diverse le aree di provenienza: Medio Oriente e Maghreb in particolare, ma anche Africa, Asia, America Latina ed Europa dell’est. Oltre la metà rientra nella fascia di età 26-30 anni, il 31% tra i 21-25 anni e il 16% ha 18 anni. Il 60% è musulmano, il 15% cattolico.

Una compagine eterogenea dalla quale si è ricavato, in basi ai loro comportamenti online, che “tutti loro considerano i social network  strumenti per gestire con estrema efficacia la socialità e il proprio ruolo nella rete di amicizie, conoscenze e potenziali tali”, ha evidenziato la curatrice della ricerca Monia Giovannetti. “la totalità degli intervistati ha dichiarato che nel loro uso quotidiano dei social gli è capitato di imbattersi in commenti offensivi. Il gruppo principale verso cui sono indirizzati i discorsi d’odio. La fascia più attiva nella diffusione di questi discorsi sono i 30-40enni.”

Inoltre, sempre secondo gli intervistati, tra le principali cause del diffondersi dell’hate speech online ci sono l’anonimato, il senso d’impunità e il non dover rispondere direttamente delle proprie azioni. Informazione che si collega al fatto che pochi sono quelli che agiscono: solo due intervistati su 20 hanno segnalato online pagine a contenuto razzista.  L’impunità non aiuta dunque a denunciare pagine o contenuti razzisti online, ragione in più per puntare sulla formazione dei giovani, sin dalle scuole, come elemento centrale nella diffusione di buone pratiche linguistiche, auspicando di poter far presto a meno di compagne di contrasto all’hate speech.

P.F.M

(26 maggio 2016)

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