
Hotspot, Cie, Cara e Cas. Sono le sigle dei centri che a vario titolo accolgono o offrono servizi ai migranti in tutta Italia. Quali sono le condizioni dell’accoglienza nel nostro Paese? A dare una risposta la campagna LasciateCIEntrare, che per il 20 giugno ha organizzato una mobilitazione nazionale chiamando giornalisti, avvocati, operatori e molti altri a varcare la soglia dei centri. Sessanta le richieste di accesso in tutta Italia. Ne scaturisce una mappatura a macchia di leopardo, perché in molti centri i partecipanti alla mobilitazione non hanno avuto accesso. Il 22 luglio, presso la sede della FNSI, a Roma è stato presentato questo monitoraggio. Voci, storie, nomi, cognomi e tutto ciò che c’è da denunciare.
Gabriella Guido – portavoce della campagna – fa il punto “per gli Hotspot c’è stato subito notificato un diniego: la stampa e la società civile, cioè, non possono avere accesso. In alcuni Cie siamo entrati in altri no, in alcune Cara sì in altre no. Evidentemente ci sono ancora posti che è bene che la società civile non debba monitorare. Chiaramente, un conto è un Cas con 30 persone e un altro una tendopoli con 800”.
“Voglio iniziare da Adam nello Sprar Carfizzi” dice Yasmine Accardo – referente territori di LasciateCIEntrare – “nel nulla delle montagne cosentine. Lo avevamo denunciato due anni fa e ad oggi ancora in quel posto manca l’acqua calda, giorni di pasti non consegnati. Insomma una mancanza di assistenza”. Continua Yasmine “Parliamo di Papa, in un Cas del napoletano, la cui organizzazione è stata da noi più volte denunciata, perché appoggiava i pestaggi da parte di altri migranti verso parte lo stesso Papa”. Poi lancia un appello alla stampa “i giornalisti hanno bisogno di scoop. Noi, invece, da anni diciamo le stesse cose, perché nonostante la nostra denuncia continuano ad accadere le stesse cose. Perché ci stiamo abituando.”
Per Vittorio Di Trapani dell’Usigrai il non lasciare entrare i giornalisti in queste strutture “non è solo una limitazione al nostro lavoro, ma soprattutto una limitazione all’informazione delle persone”. Tale assenza di comunicazione fa fare a Di Trapani un salto verso la Turchia “abbiamo consegnato tre miliardi di euro per la gestione dei migranti senza garanzie di libertà di informazione, senza garanzie democratiche”. Come a dire che ci diciamo un Paese libero, democratico, ma abbiamo anche noi delle falle molto grosse.
Dal territorio arrivano poi le testimonianze di Giacomo Dessì – Presidio Piazzale Trento, Referente Sardegna – e di Gennaro Avallone – Unisalerno. La situazione più difficile per Dessì, che ha visitato le aree di Cagliari e Sassari, è stata riscontrata in quest’ultima città. “Nessuna risposta dalla prefettura, un ex ristorante che accoglie circa 100 uomini tra cui minori. Lontani da tutti i servizi, in un’area in cui sono forti i traffici e la prostituzione. Stanze sovraffollate, l’unica cosa a norma era la cucina”. Facile per un ex ristorante. Avallone a Salerno parla di uno “scambio taciuto” tra lo Stato e il mondo del nero, facendo riferimento ai tanti migranti fuoriusciti dalle strutture di accoglienza e prestati all’agricoltura, per un salario bassissimo. Lo Stato non vede, non interviene ed intanto i migranti hanno qualcosa che li occupi e magari li sostenti. Occhio non vede..ma forse la dignità ne duole.
Gabriella Guido, a conclusione, propone che “il sistema di accoglienza passi ai Comuni e alle organizzazioni del Terzo Settore, che hanno competenze, che hanno esperienza da anni sul campo e che magari riescono a fornire dei servizi a volte migliori degli stessi enti gestori, che fino a due mesi prima gestivano un centro anziani.
Fabio Bellumore(28 luglio 2016)
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