Corridoi umanitari: premiati i promotori di Mediterranean Hope

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Il 5 agosto alle 9:30 in piazza della Rotonda c’è già un caldo torrido. La banda dei Carabinieri si appropria dell’unico stralcio di ombra al di fuori del porticato del Pantheon, i rappresentanti di Roma Capitale e della Regione Lazio sfidano l’afa in uniforme sostenendo i due stendardi accanto al palco. Sopra a questo campeggia una scritta: Mai più Hiroshima. Qualche turista giapponese sorride, si ferma incuriosito e scatta foto, altri ne approfittano per raccontare una storia ai più piccoli: “Sai cos’è successo a Hiroshima?”, chiedono appena prima di entrare nel Pantheon. Succede ogni anno, quando il Comitato Terra e Pace indice la celebrazione per ricordare l’anniversario della strage del ‘45 e premia chi si è distinto – contrariamente all’orrore della bomba atomica – alla pace e al benessere dei più deboli. Lo scopo finale è ogni anno lo stesso: sensibilizzare i governi al disarmo nucleare, perché quello che è accaduto a Hiroshima e Nagasaki non debba più verificarsi.

Oggi abbiamo bombe umane. Persone che fuggono dalle guerre e ci obbligano ad attrezzarci per accoglierle. Ecco perché quest’anno abbiamo deciso di consegnare il premio Terra e Pace ai promotori dei corridoi umanitari: FCEI, Tavola Valdese e Comunità di Sant’Egidio” annuncia Athos De Luca, presidente del Comitato. Un progetto, quello dei corridoi, che fino ad oggi ha permesso a 276 profughi siriani e iracheni muniti di visto umanitario di raggiungere il nostro paese, frequentare corsi di lingua, sentirsi al riparo dalla guerra. In altre parole, ricominciare a sperare in una vita normale. Il premio pensato per i vincitori? Un pesciolino fossile, segno di una vita nata sulla Terra milioni di anni fa.

“Con questo progetto abbiamo dimostrato che un ponte sul mare è possibile” dichiara Luca Anziani della Tavola Valdese al momento della premiazione. “Se non lo renderemo tale vorrà dire solo che non abbiamo voluto farlo”. Anche Luigi Manconi, chiamato a intervenire sul palco, aveva citato poco prima “l’inerzia spesso colpevole degli Stati, che si scontra con l’intelligenza e la saggezza dei movimenti collettivi e dei cittadini di buona volontà”. Cittadini, soprattutto, capaci di dialogo, anche quando le provenienze e le ideologie sembrano tanto distanti tra loro: “questo progetto è straordinario perché ecumenico” spiega Cecilia Pani, Comunità di Sant’Egidio, e le fa eco Christiane Groeben della FCEI: “tutto è nato da un primo dialogo fra noi, che poi ha coinvolto anche il Ministero dell’Interno e quello degli Affari Esteri. Ci siamo detti che da qualche parte dovevamo pur cominciare, e ci siamo dati da fare”.

Mediterranean Hope, progetto interamente finanziato da fondi stanziati dai tre organismi, è un modello positivo ma soprattutto replicabile: “un progetto pilota, ma anche un progetto-sistema, che può essere preso a modello da altri stati europei” spiega Groeben. Per ora il primo stato estero ad aver aderito al progetto è la Repubblica di San Marino, che insieme a Toscana, Lazio, Piemonte, Liguria, Lombardia, Campania e Puglia ha accolto una parte delle famiglie arrivate nei mesi scorsi a Fiumicino. Un gesto capace di cancellare i morti in mare degli ultimi anni: “3000 solo nel 2015” secondo Cecilia Pani, e di inaugurare un nuovo corso degli eventi.

Per dirla con Luca Anziani: “la memoria del passato non serve a perdere il tempo, ma a riacquistarlo”.

Veronica Adriani(8 agosto 2016)

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