Parlare di rom, senza i rom. Mass media e discriminazione

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Le attiviste di ROWNI – Roma Women Network Italy (photo credits: Pagina Facebook ROWNI)

Melody ha 15 anni, lunghi capelli castani e una pelle chiarissima. Non diresti mai che sia rom. Non lo direbbero neppure i suoi compagni di classe, che infatti nonostante viva in un campo non l’hanno mai discriminata. “Io non ho mai subito discriminazioni, ma molti miei amici sì. Loro sono più scuri di pelle, i ragazzi non vogliono farsi vedere con loro. Hanno paura che gli altri li guardino male”.

Melody fa parte della silenziosa maggioranza dei rom, quella che non compare sulle pagine dei giornali e nelle trasmissioni tv. Quella che studia, lavora, vive onestamente lontano dalle logiche di violenza familiare e sociale al centro dei dibattiti quotidiani. Alle ragazze della sua età presenti nella sala del CESV, dove si parla di Discriminazione e mass-media, dice solo una cosa: “le ragazze che a 15 anni si sposano sprecano la loro vita. A quell’età si dovrebbe pensare ad altro”.

Marry when you are ready è una campagna di sensibilizzazione nata dalla mente di Saska Jovanovic, presidente dell’associazione Romni Onlus, anche lei presente in sala. “Un progetto di 18 mesi che non è stato facile portare a termine” spiega, raccontando come abbia portato in giro per l’Europa, incontro dopo incontro, tematiche sensibili come i matrimoni combinati, le violenze domestiche, l’abbandono scolastico. “Abbiamo supportato anche le minoranze LGBT rom” spiega ancora Jovanovic “ma non siamo riusciti a trasformare le iniziative in un progetto europeo. Ci mancava il sostegno delle istituzioni italiane. La prima che abbiamo contattato è stata l’UNAR, ma neppure loro ci hanno voluti supportare con una lettera” racconta.

Buoni, ottimi progetti, bloccati da logiche di razzismo diffuse dai media. “Ho studiato il modo in cui i media diffondono l’antiziganismo” spiega dal microfono Concetta Sarachella, presidente di ROWNI – Roma Women Network Italy, “attraverso un uso sbagliato di terminologia e linguaggio, la diffusione di stereotipi e soprattutto promuovendo il nesso fra crimine ed etnia”. I rom fanno parte delle minoranze cui sono negati – nell’uso – non solo i principi giornalistici della Carta di Roma, ma anche quelli formali della Carta europea di tutela alle minoranze etniche e linguistiche. Il risultato? Difficoltà di integrazione, inserimento nella scuola, nel mondo del lavoro, nella vita sociale a tutti i livelli.

Si prova rabbia, in sala, verso l’immagine diffusa dai media nazionali, perché è proprio quella che tende a giustificare gli episodi di razzismo: “i mass media ci danno una grossa mano ad essere visibili…” ironizza Ion Dumitru, attivista rom. E il sentire è comune: “se la tv mostra certe immagini alla cittadinanza, ci vedranno sempre come topi di fogna. Come potremo integrarci?”. Dana Ioana Mihalache è fautrice di progetti di integrazione scolastica in cui i bambini italiani incontrano i bambini rom. Laboratori teatrali e video che hanno registrato alta partecipazione, ma più di qualche problema: “mentre preparavamo il laboratorio hanno sgomberato il campo in cui vivevano i bambini. Li hanno spostati da Aprilia a Lanuvio, non avevamo la possibilità o i mezzi per andarli a prendere nel nuovo campo”. Il risultato? Il laboratorio è partito senza quei bambini. “Il problema di lavorare coi rom è che te li perdi subito”, commenta amaramente.

Eppure c’è anche chi ce la fa: “non ho mai pensato che sarebbe stato facile. Siamo al mondo per fare le cose difficili, non quelle facili”. Badema Ramovič nasce a Reggio Calabria, ma a 18 anni decide di cambiare vita e parte alla volta della Capitale. Oggi ha un diploma in ragioneria, un lavoro, tanti amici e una certezza: “l’istruzione è fondamentale per trovare un lavoro, anche piccolo”. Le dispiace quando sente i suoi coetanei dire che si vergognano di essere rom: “non è giusto. Io sono rom, porto il mio valore dentro, non ho paura di dirlo. Ci sono professionisti rom che evitano di parlare delle proprie origini per paura di oscurare la propria immagine, non pensando che facendolo aiuterebbero tutti i rom onesti e lavoratori che combattono ogni giorno contro i pregiudizi”.

I media non aiutano, e integrarsi spesso è difficile. “Sono rom, ma prima di tutto sono cittadina italiana, e cerco di integrarmi nel paese in cui vivo. Ma abbiamo bisogno di aiuto” continua Badema. “Se uno vive in un quartiere di delinquenti, diventa delinquente. Ma se vive in un quartiere in cui gli viene insegnata la vita, la civiltà, alla fine si integra. Bisogna prendersi per mano: se tu non mi prendi per mano, io come posso farcela?”.

Veronica Adriani(30 novembre 2016)

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