In mostra volti, particolari, spiragli donati sul Tram 3, nella casa occupata di Viale delle Province, nel centro per minori non accompagnati A28, a Civico Zero, negli SPRAR e in molti altri luoghi. Le vite, spesso ignorate, del Municipio II vengono a bussare nella mostra fotografica “Più Culture: migranti nel municipio II” per ricordarci che esistono e che sono accanto a noi. Sono dodici i fotografi nell’esposizione, curata da Eliana Bambino, che verrà inaugurata martedì 14 febbraio alle 18, nel Foyer del Goethe. La mostra è stata realizzata da Piuculture in collaborazione con CNR, ISFCI – Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata, Goethe-Institut Rom, Biblioteche Di Roma Biblioteca Europea Roma, FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma, IDeA Fimit.
L’idea Sul tram 3 di Vincenzo Metodo, ventisettenne napoletano, è nata nel 2014. Per tre anni l’autore si è recato al lavoro con quel tram: “mi ritrovavo collocato in questo ingranaggio, vicinissimo a centinaia di persone, ma non appena mettevo piede fuori dal tram tutto quello che poteva rimanermi impresso finivo per dimenticarlo”. Ha iniziato a fotografare con un i-phone per necessità ma, col tempo, la sua si è trasformata in una scelta consapevole, che rompeva le distanze. “Scatto per dire la differenza. La differenza che mi avvicina a tutti quelli che non sono io, quelli che compongono la folla che mi assedia e mi tradisce”. La decisione di focalizzarsi sui soli volti va a formare quello che Vincenzo definisce “una specie di diario personale che mi ricorda quante volte sono stato negli occhi di un altro senza che me ne rendessi conto”.
“Sono ciò che mi manca– dichiara Vincenzo- Scatto per dire la differenza. La differenza che mi avvicina a tutti quelli che non sono io, quelli che compongono la folla che mi assedia e mi tradisce”
Daniela Manco e Melissa Pallini hanno condotto, per la mostra, due lavori diversi sulla stessa realtà: la casa occupata di viale delle Province, rispettivamente con Per continuare ad esistere ed Emigrart.“Mi sono avvicinata in punta di piedi al mondo delle occupazioni, varcando il cancello è nato il progetto che riesco a sintetizzare solo in tre parole: benvenuta a casa”.
Daniela per due anni si è recata nell’ex edificio Indap per narrare la storia di un nuovo inizio, quello di Barid idraulico, elettricista, orologiaio di Casablanca, di Zanaib, nigeriano, di Rafael, venezuelano convertito all’islam, soprannominato “el professor”, di Mustafa, musicista marocchino, ed di Elena, eritrea. La nuova vita, non sempre facile, che ricominciava a esistere tra quelle mura si è spalancata e l’ha accolta calorosamente.“Oggetti di uso quotidiano, spesso definiti banali assumono un valore comunicativo fondamentale: l’identità di chi li possiede, un amuleto che accompagna tutta la vita, racchiudendo sogni e desideri dei soggetti”. Emigrart di Melissa esplora le storie di quattro persone accomunate dall’arte, rappresentate volutamente in maniera asettica per lasciare spazio all’immaginazione del fruitore.
Diletta Bisetto, ventiduenne di Treviso, ha deciso di orientare la sua ricerca in una direzione originale. Dopo un’iniziale indecisione dovuta ai molteplici interessi, ha raccontato con Night workers i luoghi aperti 24 ore, o fino a tarda notte, spesso gestiti da stranieri “il mio lavoro parla di persone solo indirettamente”. Muovendosi al calar del sole in bicicletta o a piedi è riuscita a conoscere la città con le sue contraddizioni e differenze.
Il lavoro di Martina Zanin, Nascondere, affronta il complicato rapporto tra omosessualità e immigrazione tramite interviste a cinque ragazzi. “Il progetto è durato sei mesi, vinta la mia iniziale timidezza mi sono buttata ed è stato molto interessante perché ha permesso un confronto sulla situazione in Italia e nel Paese d’origine dei ragazzi”.
Simona Scalas, 34 anni, sarda, presenta Momentaneamente qui – A spasso con i ragazzi di CivicoZero progetto basato sui ragazzi del Laboratorio fotografico di CivicoZero, centro diurno per minori non accompagnati, realizzato grazie alla disponibilità e amicizia dei fotografi Mohamed Keita, Andrea Alessandrini e del responsabile dei laboratori creativi Yves Legal . Il titolo, del lavoro per la mostra, allude alla discontinuità della presenza degli ospiti dovuta a diverse ragioni, non ultima la loro condizione stessa di transitanti nella città. “Nel momento stesso in cui interagisco con i ragazzi, so già che non li rivedrò se non in questi scatti”. Nonostante la difficoltà di fotografare i volti, dovuta alla loro giovane età, l’esperienza l’ha messa in contatto con una realtà che non conosceva e che le ha permesso di scoprire la comunicazione non verbale, che supera le barriere linguistiche e si nutre di sguardi e piccoli gesti.
Elena Fratini(1.continua…)
(09/02/2017)
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