Sprar Gerini: superare le fragilità con la pasticceria

Sprar Gerini: i ragazzi al lavoro durante il corso di pasticceria organizzato nell’ambito del progetto Migranti in FormAzione.
photo © alessandra zucconi _ FF
“…Allora, chi vuole assaggiare?” Le mani si alzano, gli apprendisti cuochi si fanno avanti. Margherita Pacelli, pasticcera professionista, ha appena sfornato la torta di mele che i ragazzi dello SPRAR Gerini – gestito dalla Cooperativa Eta Beta e parte del sistema di accoglienza SPRAR di Roma Capitale – hanno preparato insieme a lei. È lunedì pomeriggio, e come ogni primo giorno della settimana da circa due mesi i migranti pasticceri ospiti del centro di via Tiburtina 994 imparano l’arte di creare i dolci: “abbiamo fatto una lezione sulle creme, un’altra sulla pasta frolla, una sui tozzetti, una sulla torta della nonna. Oggi impariamo a fare la torta di ciliegie e quella di mele”. La prima lezione ha portato qualche difficoltà, colpa della timidezza e dell’italiano traballante, ma sono bastati una lavagna e un mediatore per alleggerire l’atmosfera. Se le chiedi come sono quegli allievi così speciali, Margherita sorride: “bravi, e molto appassionati. Spesso dopo aver imparato a fare un dolce, il giorno dopo vengono qui e provano a rifarlo. In alcuni di loro vedo veramente del talento”.I sorrisi in cucina non sono poi così scontati quando i cuochi sono dei ragazzi con fragilità psicologica. Alcuni di loro hanno persino dei disturbi alimentari, ma di fronte a spatole, fruste e scodelle, se ne dimenticano. Il progetto è frutto dell’incontro di diverse realtà: l’equipe dello SPRAR, la Cooperativa Eta Beta, la parrocchia San Gelasio, le volontarie e l’associazione Nove Onlus, con Migranti in Formazione, il progetto che ha già erogato nelle sue prime due fasi un corso di orientamento al lavoro e uno di informatica. Gli aspiranti pasticceri vengono da Mali, Nigeria, Afghanistan, Iraq, Gambia, Senegal. “Pian piano stiamo imparando a conoscere le loro storie” racconta Nadia Gonella, responsabile dello SPRAR e faro per i ragazzi “ma non sempre è semplice”. Qualcuno di loro avrebbe bisogno di cure psichiatriche più specifiche, a volte di un ricovero, ma i centri in grado di fornire assistenza sono piccoli e già pieni: alcuni hanno solo sei posti letto, troppo pochi.Rauf, curdo iracheno, è uno dei corsisti e segue Nadia come un’ombra. Dovrebbe partecipare alla lezione, ma oggi non gli va: per questo si improvvisa prima dj, poi addetto alle pulizie, infine segretario personale. È ospite dello SPRAR da febbraio, e anche se con l’italiano zoppica un po’, riesce a farsi capire benissimo. Lui è grande capo, e Alibàba è parola franca: nome proprio, aggettivo, intercalare all’occorrenza. Mostra fiero le foto che ha sul cellulare: il concorso di poesia che ha vinto la domenica precedente, i piatti che ha mangiato, gli amici.Difficile a credersi, i ragazzi che partecipano al corso stanno davvero superando le difficoltà impastando uova, latte e farina. “Uno di loro ha fatto il pastore per tutta la vita. È timidissimo, quasi incapace a relazionarsi con gli altri” racconta Nadia. Per lui e per molti altri c’è innanzi tutto il corso di italiano: “Appena arrivano da noi cerchiamo di fargli studiare la lingua: alcuni sono analfabeti, ma l’importante è che imparino a parlarla”. I corsi organizzati nello SPRAR sono la base per quelli al di fuori: “alcuni ragazzi sono più fragili di altri, vanno ‘rafforzati’. Solo dopo cerchiamo di spingerli all’esterno per inserirli nella società”.C’è chi ottiene un tirocinio e chi prosegue sulla strada del volontariato, come Kamel, nigeriano albino in Italia da cinque anni. Se gli chiedi come si trova nello SPRAR sospira e dice: “ce vò tanta pazienza”. Kamel in Nigeria si occupava di giornalismo televisivo, qui si cimenta con quello radiofonico. È ospite fisso, ogni martedì – “ma la trasmissione va in onda di domenica” – di Radio Finestra Aperta, web radio della UILDM – Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. “L’ultima discussione è stata sui giovani che vanno all’estero per lavorare” racconta Kamel. Lui ci andrebbe? “Per carità, perderei l’accento romano”, e racconta che nei suoi progetti c’è l’iscrizione all’università, facoltà di Economia. “Per il momento” dice “ho fatto richiesta per il riconoscimento del diploma, ma i tempi sono lunghissimi”. La cucina potrebbe essere una svolta per qualcuno dei ragazzi? Secondo Margherita sì. Nel cassetto ha un desiderio e un sogno: il primo, realizzabile, è di fare una cena etnica con i ragazzi alla fine del Ramadan. Il secondo, invece, è un po’ più complesso: “vorrei renderli autonomi per cucinare qui allo SPRAR. Se riuscissimo a creare due squadre di 5-6 ragazzi che lavorino su turni potremmo farcela. Gli ospiti del centro sono un centinaio”.Alla fine della lezione sulla porta compare un ragazzo alto, vestito con un completo da calcio. Nadia gli ha promesso di aiutarlo a compilare il curriculum, lui non vede l’ora: “alcuni dei ragazzi hanno maturato durante il viaggio o nel loro paese delle competenze che nemmeno sanno di avere. Noi cerchiamo di aiutarli a farle emergere”. Uno di loro ce l’ha fatta: due giorni prima ha scoperto di essere stato preso per un tirocinio da Ikea. A volte ci vuole del tempo, ma gli ingranaggi della lenta macchina dell’accoglienza riescono a muoversi nel verso giusto.

Testo di Veronica AdrianiFoto di Alessandra Zucconi(23 maggio 2017)