Gli orari di lavoro di Ijhaz li scandisce il sole, così come i giorni di riposo: finisce di lavorare al tramonto e riposa quando piove. Ijhaz, 27 anni, lavora come ambulante sulla costa di Salerno. È arrivato in Italia 9 anni fa e da 7 ogni giorno, d’estate, ripete il suo andirivieni sulle spiagge per vendere bigiotteria. “Mio zio è qui da quasi 22 anni, poi è arrivato mio padre e poi io, mia madre e i miei fratelli, tranne il più grande che era già maggiorenne ed è rimasto in Pakistan. In questa zona siamo circa 35 persone della mia famiglia”. Suo padre, i suoi fratelli, i suoi cugini sono tutti ambulanti di gioielli.“È il lavoro più adatto per chi arriva qui, molto più di quello in fabbrica. E poi non è facile trovarne uno, soprattutto per chi ha più di 45 anni, magari con questo mestiere si guadagna anche meno, però si riesce ad andare al paese. Non è il mio caso, ma molti restano in Italia metà anno e l’altra metà tornano a lavorare in Pakistan. È importante per chi ha lì tutta la famiglia”, spiega Ijhaz.All’arrivo, però, trovare un lavoro regolare è utile per ottenere il permesso di soggiorno. “Mio padre ha usufruito della sanatoria del 2002. È stato operaio in una vetreria. Per due anni anche io ho lavorato come magazziniere alla Esselunga, a Milano. Ma lì la vita è più brutta: la gente pensa solo ai soldi, ai soldi e ai soldi, mentre qui ho la mia famiglia, e il lavoro in spiaggia”.“In questa zona siamo circa 120 pakistani”. Molti dei quali sono ambulanti, ognuno propone pietre, gioielli e bracciali in un pezzo di costa . “Io posso lavorare dove voglio, poi è ovvio che tra noi ci organizziamo. Ad esempio mio padre e mio zio lavorano sulle spiagge di Battipaglia e, quando ho cominciato io, ho cambiato zona per non passare per gli stessi lidi”. Nella comunità vigono regole di rispetto ben precise: “Ad esempio se arrivi tu e offri la merce a una signora e ti dice che è mia cliente, tu non devi disturbarla. Così come se una cliente mi fa vedere la merce di un altro venditore, io non devo giudicarla e non devo offrirla a un prezzo inferiore. Questa è come una legge tra noi”.“Ma non credere che vendere gioielli in spiaggia sia semplice”, continua Ijhaz. “A mio fratello più piccolo, ad esempio, l’ho sconsigliato. È giovane, ha 22 anni, questo lavoro non è buono, prima vendevamo bene, adesso le signore spendono molto meno. Poi non ha un carattere adatto: è troppo tranquillo, ci vuole un sacco di testa e pazienza per accontentare le clienti, sorridere sempre, capire chi hai di fronte e cambiare il tuo atteggiamento in base a loro”. Mentre parla si avvicina una signora, chiede di fare un cambio con un bracciale, Ijhaz ascolta e la accontenta, anche se non l’ha acquistato da lui, ma da suo cugino.E continua: “D’inverno invece mi sposto verso l’interno, mi conoscono, vado nei paesini. Ogni mese mando 500/600 euro a casa: mia madre è tornata in Pakistan per problemi di salute e mia sorella per continuare gli studi. La mia famiglia riesce a vivere bene qui e lì perché contribuiamo tutti e lavoriamo tutti. Tranne mio fratello, il più grande, che in Pakistan non riesce a trovare un impiego”.È proprio la povertà che ha spinto il padre di Ijhaz a partire: “Ha fatto il tassista per 20 anni. Noi veniamo da Sahiwal, una zona tranquilla, lontana dai conflitti, dove chi riesce a guadagnare bene arriva a uno stipendio di 300 euro. Ma il costo della vita, come la spesa o le bollette per l’elettricità, non è così diverso da qui”.Il suo futuro, Ijhaz lo immagina lontano dalle spiagge: “Mi sto attivando per dare vita a un’associazione per aiutare gli altri pakistani della zona. Per il rimpatrio delle salme, ad esempio, un’operazione che richiede circa 6 mila euro. E poi voglio cambiare lavoro, non adesso, ma ci vogliono 15/20 mila euro per aprire un’attività in Italia”
Rosy D’Elia
3 settembre 2017
Leggi anche