Suburbicon di George Clooney, presentato alla 74esima Mostra del cinema di Venezia, narra dell’omonima cittadina americana, di fantasia, alla fine degli anni ’50 e della famiglia Lodge che ci vive. Villette a schiera, prato all’inglese, carretti dei gelati. Bambini che giocano ordinatamente con pantaloni alle ginocchia e la riga da una parte, madri che dalla veranda li osservano placide con capelli cotonati e rossetti sgargianti. Il locus amoenus in cui desiderare di svolgere la trama della propria vita, nel guidato inseguimento del Sogno americano.
La quiete abita qui
Fino al giorno in cui la stabilita armonia viene sconvolta dall’arrivo nel quartiere della famiglia Meyers, che poco ha di diverso dalle altre, se non il colore della pelle.La trama del film si sviluppa così sul contrasto delle vite tra vicini: da un lato i Meyers, esclusi, osteggiati ed aggrediti dall’intera società. E dall’altro lato della staccionata i Lodge, madre (Julianne Moore), padre (Matt Damon), figlio e zia (di nuovo Julianne Moore, nel duplice ruolo di due sorelle che ben poco hanno in comune), perfetta incarnazione dei vicini che tutti desidererebbero, almeno nella cittadina di Suburbicon.La narrazione vive dello stravolgimento di questo costrutto infondato, e porta alla luce la corruzione, la perversione e la crudeltà della famiglia all’apparenza modello. Dove gli adulti, visti come cittadini perfetti dalla società, si scoprono privi di qualsiasi etica, e l’unico barlume di moralità viene custodita dai più giovani.
La speranza è nei giovani
Sono proprio i giovanissimi gli unici a costruire un legame che vada oltre il colore della pelle, un filo invisibile che si dipana lungo la parabola di una pallina da baseball scambiata al di qua e al di là della staccionata.George Clooney alla sua sesta interpretazione da regista, recupera una sceneggiatura di fine anni ’90 dei fratelli Cohen, e la rende propria integrandola del tema razziale e ponendo l’accento su quanto sia facile indirizzare l’obiettivo del giudizio sociale sul soggetto sbagliato. Il tutto in un film che vuole essere innanzitutto un incentivo a non dimenticare quello che è stato, quindi un monito pubblico a fronte della recente evoluzione politica americana del presidente Trump, tra due società così lontane nel tempo, e così pericolosamente vicine nel modo di pensare.
Rocco Ricciardelli(3 settembre 2017)
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