Olga viene dalla Romania e lavora come badante, Emin è turco e lavora in un ristorante di Kebab e Rachid, proveniente dal Marocco, gestisce una bancarella in Piazza Mancini.
Sono soltanto tre dei 2,4 milioni di immigrati che lavorano da regolari in Italia e che hanno prodotto quasi 131 miliardi di ricchezza, con un contributo vicino al 9% del Pil nazionale, hanno pagato oltre 7 miliardi di Irpef e hanno versato contributi previdenziali per altri 11 miliardi. Infatti, dal 2008 al 2016 la presenza dei lavoratori stranieri è cresciuta dal 41%, da 1,7 milioni si è passati a 2,4 milioni.
Ma quali sono le professioni con maggiore presenza di stranieri in Italia? E di italiani? E’ vero che gli stranieri rubano il lavoro agli italiani?
A rispondere è l’ultimo “Rapporto sull’economia dell’immigrazione”, a cura della Fondazione Leone Moressa, presentato il 18 ottobre a Roma e nel quale si evidenzia come gli immigrati occupano prevalentemente professioni non qualificate: il 74% dei collaboratori domestici, il 56% delle badanti e il 51% dei venditori ambulanti è infatti straniero. Così come il 39,8% dei pescatori, pastori e boscaioli e il 30% dei manovali edili e braccianti agricoli è d’origine non italiana. “Un ambito particolarmente interessante per osservare le differenze”, secondo lo studio, “è quello dell’occupazione femminile. In Italia sono occupate 9,5 milioni di donne e di queste oltre 1 milione sono straniere. Tra le collaboratrici domestiche, le immigrate sono il 72%, tra le badanti il 58%. Le donne straniere non riescono invece ad accedere alle professioni più qualificate (insegnanti, procuratori, avvocati)”.
Infatti, secondo il 7° rapporto della FLM, le professioni più qualificate, sono occupate dagli italiani. Ad oggi, nel settore del commercio, la maggior parte degli immigrati fanno i venditori ambulanti, mentre gli italiani gestiscono e pianificano le vendite. Nel settore edile, invece, sono 240mila i lavoratori stranieri mentre le professioni come ingegneri o architetti sono svolte principalmente dagli italiani. Stesso discorso nel settore agricola dove il 29% dei braccianti agricoli e il 39% dei pastori e pescatori è straniero. Gli agricoltori e gli operai specializzati sono invece nell’87% dei casi italiani.
Per quanto riguarda la distribuzione sul territorio, ben 35,4 miliardi, oltre un quarto della ricchezza prodotta in Lombardia, è d’origine immigrata. Dall’altra parte, i valori più bassi dove non si raggiunge il 4 per cento sono Sicilia, Basilicata, Puglia e Sardegna. La comunità rumena è invece quella con più contribuenti: oltre 62mila lavoratori, seguita dall’albanese, 256mila, e da quella marocchina, 211mila, e cinese, 191mila.
Il rapporto evidenzia anche come i dati Istat sul mercato del lavoro dimostrino che l’occupazione immigrata e quella autoctona in Italia sono parzialmente concorrenti e prevalentemente complementari. “Il loro impatto sul welfare è limitato, pari a meno del 2% della spesa pubblica mentre il gettito Irpef e i contributi Inps fanno segnare un saldo attivo di oltre 2 miliardi”.
Un contributo economico degli immigrati al sistema paese sostanzialmente positivo e importante, secondo i ricercatori della Fondazione Moressa, considerando l’età media relativamente bassa, 33 anni contro i 45 degli italiani, e un Pil “straniero” che vale 131 miliardi.
Cristina Diaz17/10/2017
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