Prosegue l’intervista a Fiorella Farinelli, persona esperta di scuola e amministrazione, che offre un contributo interessante alla conoscenza del problema dell’integrazione scolastica nel suo complesso.La settimana prossima verrà proposto il terzo contributo: Funzioni dell’Osservatorio per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura – Il ruolo del volontariato nell’integrazione dei giovani immigrati.Facendo una valutazione generale dell’andamento del processo di integrazione scolastica degli stranieri hai segnalato molte criticità. Quali misure sarebbero necessarie prioritariamente?Innanzitutto per quanto riguarda l’organico, bisognerebbe sapere quanti sono i docenti con titolo specifico per l’insegnamento dell’Italiano L2 e con esperienze professionali consolidate in questo campo e stabilire che dovrebbero avere la precedenza nelle scuole con alto impatto immigratorio. Poi serve una maggiore attenzione alla formazione non solo dei docenti ma anche dei dirigenti e servirebbe al Ministero una direzione generale per l’integrazione e l’inclusione.Una priorità è l’istituzione di laboratori di Italiano – un tema che nella Buona scuola è stata inserito al 17esimo posto tra le priorità di utilizzo dell’organico potenziato −, laboratori permanenti e laboratori anche estivi.Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, servirebbero interventi concertati tra Ministero, Comuni e Comunità degli immigrati per informare e orientare il genitore straniero, smarrito tra istituzioni pubbliche e private, normative e procedure diverse ( Stato, Comune, Enti privati ).Bisognerebbe rivedere anche la normativa relativa ai Bisogni Educativi Speciali (Bes) perché, mettendo insieme nella stessa categoria alunni con disabilità e stranieri, produce ambiguità di cui non si sentiva il bisogno.Non solo. Siamo uno dei pochi Paesi che non hanno un Codice deontologico degli insegnanti, con la falsa idea cara ai sindacati che gli insegnanti sono sempre e tutti in grado di essere e fare quello che occorre nel migliore dei modi. In Inghilterra, per esempio, nel Codice si dice che l’insegnante, indipendentemente dalle sue opinioni personali, deve adottare comportamenti professionali coerenti con il principio educativo per cui tutti possono imparare. Si dice anche che il comportamento professionale dell’insegnante deve essere tale da non offendere o discriminare nessuno. Hai detto che, nonostante la mancanza di un governo sistematico dell’integrazione scolastica, ci sono tuttavia molte esperienze di eccellenza. Puoi citarne qualcuna?Tra le tante, cito le scuole di Prato perché lì è stato costruito un sistema di accoglienza e integrazione efficace e condiviso. Il Comune ha preso contatti con la comunità cinese, tutte le scuole hanno sottoscritto un protocollo d’accoglienza e istituito laboratori d’Italiano L2, con l’Università di Firenze è stato definito un piano per la formazione, sono state organizzate attività di orientamento gestite da Comune e Università, la Regione ha messo a disposizione fondi.Ma ci sono numerose altre realtà virtuose in Emilia Romagna, a Bergamo, Milano. A Genova, dove c’è un’alta concentrazione di ispanici e altri stranieri negli Istituti Tecnici e Professionali, da anni si lavora sull’orientamento, sulla lingua delle discipline, con didattiche mirate, per esempio, sulla scrittura, visto che molti ragazzi già parlano l’italiano, anche con le metodologie dell’apprendimento cooperativo peer to peer. E questa pratica di utilizzare ragazzi più grandi come risorsa di tutoraggio dei più piccoli viene realizzata anche in altre realtà.A Roma, nel quartiere multietnico Esquilino, c’è la scuola Di Donato, che ha coinvolto i genitori e le comunità di stranieri responsabilizzandoli per gestire in orari diversi corsi e attività varie – musica, sport − perché il ragazzo che va a scuola di calcio impara ugualmente l’italiano – e poi ovviamente laboratori di Italiano .A Palermo, l’Università ha aperto ai minori stranieri non accompagnati la sua Scuola di italiano per stranieri, utilizzando come tutor e docenti gli stessi studenti dei dottorati di ricerca o dei master. L’esperienza è interessante anche perché sono state elaborate specifiche metodologie didattiche per i tanti minori stranieri analfabeti nella lingua materna.Tra l’altro, queste esperienze dimostrano che i finanziamenti arrivano, bisogna saperli trovare.Insomma, le buone pratiche ci sono, molte sono le scuole che lavorano con continuità, in alleanza con Enti locali, associazioni, comunità di immigrati, presídi culturali come biblioteche comunali, teatri, cinema. Quello che manca – ripeto – è un sistema in grado di governare l’integrazione negli istituti scolastici e nel territorio. Forse perché l’integrazione richiede una lungimiranza, anche politica, che il nostro paese ancora non ha. Secondo te, sulle difficoltà che incontra la scuola nell’integrazione di stranieri e nell’intercultura, incidono anche le attuali tendenze alla chiusura dell’opinione pubblica?Incidono, però anche su questo si può lavorare, come dimostra l’esperienza di San Salvario, quartiere multietnico di Torino. Lì è accaduto che le scuole di quartiere venissero disertate dalle famiglie italiane, con effetti evidenti di “ghettizzazione”. Allora le scuole si sono rivolte al Comune che ha promosso convenzioni con la Galleria d’arte moderna, la Scuola di design, il Teatro dell’Opera, l’Accademia di danza, con l’impegno e la mobilitazione di tecnici, artisti, creativi per abbellire gli istituti e il quartiere, sviluppare nelle scuole e nel quartiere attività musicali, artistiche, spettacoli. Dopo qualche anno la situazione si è ribaltata, al punto che oggi le scuole di San Salvario devono mettere un argine alle tante richieste di iscrizione di famiglie italiane anche di altre zone della città.
[2. Continua]
Luciana Scarcia(26 settembre 2017)
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