“Queste iniziative sono belle perché offrono un’alternativa alla paura. Quando una cosa non si conosce l’istinto dell’uomo può avere due atteggiamenti: la curiosità o la paura. La curiosità ti porta a informarti a conoscere a crescere, a capire, a decidere se una cosa è positiva o negativa, ti fa essere una persona che pensa. La paura chiude, rende più fragile, fa reagire con l’istinto” così Nicola Zingaretti nel suo intervento elogia “La Scrittura non va in esilio”, alla premiazione dei concorsi letterari promossi dal Centro Astalli che si è svolta il 25 ottobre.Quasi mille studenti provenienti da tutta Italia si sono trovati a Roma presso l’Auditorium del Massimo per la premiazione dei vincitori del concorso “La scrittura non va in esilio”, alla sua XI edizione dedicato alle scuole superiori, e di “Scriviamo a colori”, per le scuole medie giunto alla III edizione.I due concorsi sono frutto dei progetti per le scuole Finestre e Incontri sul diritto d’asilo e il dialogo interreligioso che il Centro Astalli promuove in 15 città italiane portando a incontrare studenti, testimoni di altre religioni e rifugiati.Giovanni Anversa, giornalista Rai, presenta la manifestazione lanciando subito l’appello a favore dello Ius Soli, di cui l’evento si fa promotore. Il presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, accoglie l’invito e sottolinea quanto “la battaglia per lo Ius Soli non sia importante solo per ristabilire cittadinanze e diritti a qualcun altro vicino a noi, ma lo è anche perché ci permette di essere, più intelligenti e padroni della nostra vita”.È una platea di ragazzi dai 12 ai 19 anni ad ascoltare l’incoraggiamento e le parole di fiducia di Padre Giovanni La Manna, Rettore del Massimo, “la scuola è un luogo privilegiato che da sempre ha accolto senza distinzioni. A voi ragazzi la possibilità di cambiare questo mondo: vivete fino alla fine questa sfida”.Ed è a scuola, in una classe, durante la ricreazione che inizia il racconto di Ilaria Tito, vincitrice del concorso “Scriviamo a colori”. Nel suo “La forza nell’essere deboli” racconta il disagio della piccola Farah, bimba originaria del Sud Sudan, che ha chiuso in sé l’orrore e le immagini di una guerra che ha reso ugualmente deboli tutti, grandi e piccoli. “Ho cercato di immedesimarmi nel personaggio, di cercare di capire come mi sarei comportata io. Il mio testo è una metafora: Farah rappresenta le persone emigrate in Italia, ma sopratutto i bambini, che affrontano il loro passato. La professoressa chi non riesce a capire cosa ha vissuto di Farah. I compagni di classe che la guardano commossi provando compassione ma senza far nulla, la società che spesso guarda senza agire. La piccola Chiara, l’amica di Farah che fin dall’inizio la sostiene, è il punto di incontro: è lei che fa il primo passo, semplicemente abbracciandola”. Ilaria nel descrivere la sua Farah aggiunge “è debole e lo dimostra, ma allo stesso tempo è forte perché non si abbatte, è determinata”. Ilaria si definisce timida, ma alla domanda di Anversa in merito alla possibilità di una scuola dove possano convivere le differenze, la sua risposta è forte e decisa “Possono e devono e dalla mia esperienza già convivono. Siamo tutti uguali, non bisogna creare distinzioni”.La parola chiave è uguaglianze in tutte le sue sfumature e le sue lotte.Padre Camillo Ripamonti, Presidente Centro Astalli, presenta Andreea Tatiana Anghelescu, vincitrice de “La scrittura non va in esilio” concorso letterario per le scuole superiori, “questo racconto ci dice come la bellezza salvi il mondo. Le storie di rifugiati spesso non finiscono bene e questo dipende molto da noi, da come li accogliamo, da come li accompagniamo e inseriamo nella nostra società. La richiesta di cittadinanza è uno di questi passi fondamentali ed io spero che l’anno prossimo la legge sia varata e il nostro futuro sia, insieme”.Tatiana usa la musica per raccontare la storia, forse dimenticata, del bombardamento del 1999 in Kosovo. Katarina, la protagonista del suo racconto “Il violino”, sta suonando Paganini col suo prezioso strumento regalo della madre. “Uso la musica per descrivere un momento drammatico, perché la musica è un elemento che non può essere disintegrato, distrutto da un bombardamento, dalla guerra, la musica è qualcosa che va oltre. Io mi sono riconosciuta nel personaggio di Katarina perché anche io al suo posto non mi sarei arresa nonostante la tragedia dei bombardamenti. Katarina come me ha origini balcaniche: ho voluto fondere questi due elementi che avrebbero potuto rappresentarmi. Non volevo scrivere il racconto di una persona ignota, ma metterci qualcosa di Tatiana”. Durante quel bombardamento Katarina perde tutto anche il violino, l’unico ricordo di sua madre morta poco prima, “ma 10 anni dopo lei si riscatta suonando proprio gli stessi brani e con un violino identico, cercando di ricostruire la memoria di quei giorni. È stato un modo per ricordare un evento di cui si parla poco come il bombardamento in Kosovo del 1999”.
Silvia Costantini
(25 ottobre 2017)
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