Dalle colline del Marocco al cinema. La storia di Adil, il pastore che odiava le pecore

 

 

Beni Amir Ouest è un piccolo villaggio nella campagna marocchina nel quale fino agli anni novanta non c’era né elettricità, né tv e neppure il telefono. Un posto desolato dove i bambini, fin da piccoli, sono costretti a lavorare nei campi con le greggi e studiare è un privilegio di pochi.

In questo paesaggio nordafricano di case disperse che si trova a tre ore da Casablanca è nato Adil Azzab, giovane ragazzo classe ’88 arrivato in Italia tredici anni fa. E’ lui il protagonista di “My name is Adil”, il mio nome è Adil.  “Il film offre una prospettiva originale sui temi della migrazione e dell’identità culturale, affrontandoli dal punto di vista dei bambini e dei ragazzi, per questo è importante metterlo a disposizione delle scuole,” spiega Adil.  E infatti grazie al sistema di prenotazione sviluppato da Unisona, il film sarà disponibile  per le scolaresche, le associazioni ed i gruppi fino al 2019. Molte le scuole in tutta Italia che hanno già richiesto il film da Torino, a Milano, Padova, Bologna, Firenze, Ascoli Piceno, Napoli, fino a Cagliari in Sardegna e Marsala in Sicilia. In questi mesi il film ha partecipato a diversi festival cinematografici in tutto il mondo, ha vinto numerosi premi, l’ultimo nel marzo 2017 a Tangeri.

Adil, fin da bambino,  è costretto a lavorare con le greggi tutto il giorno sotto il sole, quando in realtà quello che lui desidera fare è studiare. “All’età di sei anni ho rubato il documento indispensabile per iscrivermi a scuola. Purtroppo il preside mi ha detto che non potevo cominciare a studiare, dovevo aspettare di avere sette anni. Mi ha permesso però di seguire le lezioni dall’ultimo banco della classe,” confida il giovane.

Una scelta, quella di iniziare a studiare, non condivisa dai membri della sua famiglia, il timore era che per andare a scuola avrebbe trascurato il gregge. Solo suo padre, El Matì, non lo ostacola. L’uomo che era emigrato in Italia a ventitre anni, oggi lavora a Milano come commerciante. La voglia di studiare unita alla violenza dello zio diventata insostenibile, e portano Adil alla decisione di raggiungere il padre a Milano. “Partii con un amico di mio padre che doveva andare a Udine. Era la prima volta che facevo un viaggio in macchina. Abbiamo attraversato la Spagna, la Francia e finalmente siamo arrivati in Italia. All’epoca l’immaginavo come un insieme di case azzurre sospese in aria e pensavo che per andarci bisognasse andare in cielo, invece, quando sono arrivato nelle campagne friulane sono rimasto deluso perché ho trovato quello che avevo lasciato nel mio paese: colline, montagne e tanti pastori con le greggi”.

Pochi giorni dopo il suo arrivo in Italia si sposta dalla campagna a Milano dove i palazzi alti, i negozi, le strade asfaltate ma soprattutto il calore di suo padre lo tranquillizzano. “Ho iniziato a frequentare la scuola media con l’obiettivo di diventare un elettricista, ricordo che i primi anni sono stati molto difficili: parlavo male l’italiano, la cultura era molto diversa e sentivo tanto la nostalgia di mia mamma, dei miei fratelli e dei nonni.”

Qualche anno dopo, Adil inizia a frequentare un centro di aggregazione giovanile dove scopre la passione per il cinema e la fotografia e conosce Magda Rezene, nata in Italia da genitori eritrei, e Andrea Pellizzer, professionista della comunicazione. Insieme a loro nasce l’idea del lungometraggio “My name is Adil”. Per questo, dopo 10 anni di assenza dal Marocco, il giovane con la macchina fotografica in mano e la videocamera sulle spalle torna nel suo paese. “Quando abbiamo iniziato le riprese del film avevo tanta paura perché pensavo di non essere in grado. Inoltre, la mia famiglia non era d’accordo perché temeva le reazioni dei conoscenti. Ho deciso comunque di andare avanti con il progetto perché era una grande opportunità per avvicinarmi al mondo del cinema che mi affascinava”.

Dopo diversi anni di riprese tra il Marocco e Milano il film si conclude finalmente nel 2015. La produzione, a “budget zero”, è stata supportata da un crowdfunding e da professionisti del settore come Gabriele Salvatores. “Quando abbiamo presentato il film per la prima volta al cinema è stato molto emozionante. C’erano i miei genitori, a 50 anni era la prima volta che andavano al cinema e sono rimasti colpiti quando hanno visto la nostra storia sul grande schermo.”

Fare il film è stato un progetto ambizioso per un giovane ragazzo come Adil che attualmente lavora come educatore in una comunità per minori non accompagnati e in un centro di aggregazione giovanile. Dopo questa prima esperienza dietro la macchina da presa Adil  non vuole più abbandonare il cinema. “Vorrei continuare a lavorare in questo campo, mi piace la possibilità di trasmettere un messaggio attraverso un film. Nel centro dove lavoro aiuto altri ragazzi come me nel percorso di crescita, giovanissimi con alle spalle storie diverse e molto forti. Chissà se un giorno alcuni di loro vorranno raccontarle. Io sarò disponibile a filmarle.

Cristina Diaz
09/01/2018

Leggi anche: