Si è aperta una nuova area di azione nell’ambito del programma rifugiati e migranti della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, FCEI , che come spiega il suo coordinatore Paolo Naso a Piuculture, al già impegnativo lavoro di “Mediterraneam Hope”, aggiunge il “viaggio”. “Avevamo chiaro che cosa c’era prima e dopo il viaggio attraverso il Mediterraneo. Adesso abbiamo capito anche la drammaticità di quello che c’è in mezzo”.“Noi, attraverso i corridoi umanitari, conosciamo un viaggio in sicurezza che garantisce la dignità: i profughi arrivano con le valigie e questo significa arrivare con una storia, con dei ricordi”, spiega Naso, “invece, raggiungere l’Italia con il barcone significa rischiare la propria vita e addirittura compromettersi con criminali e delinquenti. E’ quindi un viaggio che si svolge in una situazione di indegnità che noi non possiamo né ignorare, né dimenticare e proprio per questo rivendichiamo l’importanza dei corridoi umanitari”.Un’iniziativa, quella dei corridoi umanitari, portata avanti dalla FCEI, dalla Tavola valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio, interamente autofinanziata e che in meno di due anni ha permesso a 1000 profughi di raggiungere l’Italia legalmente e in sicurezza.La FCEI si imbarca ora in questo nuovo progetto attraverso il quale sosterrà le associazioni impegnate nell’intervento umanitario nel Mediterraneo e parteciperà a missioni di ricerca e salvataggio in mare. Dopo la positiva esperienza realizzata da operatori di Mediterranean Hope con la ONG Proactiva che, con la sua nave “Open Arms”, fino allo scorso 18 marzo, momento in cui è stata ormeggiata nel porto di Pozzallo, ha consentito il salvataggio di più di 200 persone. Una collaborazione nata durante gli sbarchi dei profughi a Lampedusa dove da tre anni opera un ufficio di Mediterranean Hope e che fa accoglienza ai migranti, mediazioni interculturale e gestisce progetti sociali.“Quindici giorni fa due dei nostri operatori hanno partecipato ad attività di save rescue aiutando nel soccorso di 206 rifugiati tra cui un quattordicenne affetto da una grave leucemia e i suoi fratelli più grandi. È la prova del livello di disperazione e della situazione in cui vivono migliaia e migliaia di profughi in Libia e in altri paesi da cui si fugge,” spiega Paolo Naso.Un progetto che partirà non appena riprenderanno le prossime missioni di Pro Activa e nel quale Mediterranean Hope offrirà i suoi operatori qualificati, “dal cuoco al medico”, specifica Naso. “Inoltre, avrà due anime: da una parte prevede il sostegno finanziario delle attività di Open Arms e dall’altra ci sarà una partecipazione attiva che è quella del soccorso in mare“.Naso esprime rincrescimento per l’intervento del gip di Catania attraverso il quale il giudice ha confermato il sequestro della nave ma si è dichiarato incompetente ritenendo “non sussistere il reato di associazione per delinquere ma soltanto quello di immigrazione clandestina”.“Un provvedimento senz’altro positivo e un grande passo in avanti“, ha dichiarato Naso. “Adesso la preoccupazione deriva dal fatto che nella nota del gip ci sono dei riferimenti inquietanti alla presenza di navi italiane della marina militare, che fanno riferimento alla Capri in particolare, che avrebbero avuto un ruolo di coordinamento per il respingimento del soccorso in mare e questo non è previsto da nessun protocollo, neanche da quello che prende il nome dall’ex ministro Minniti. Che ci fa una nave italiana nelle acque libiche? E che ruolo ha avuto in questa vicenda? Ecco, su questo elemento sorge incredulità e preoccupazione. Si tratta di un’operazione che deve essere trasparente, avere al centro umanità e diritto alla vita, non solo da parte delle ONG ma anche delle autorità del governo con lo scopo di tutelare quel diritto fondamentale che è il diritto del soccorso in mare”.
Cristina Diaz4/04/2018
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