Uno studente di talento
Kader, quasi due metri di ragazzo, venti anni, ha uno sguardo curioso e vivace, un sorriso sempre stampato sulle labbra e uno zaino nero in spalla. Come ogni settimana, passa da Ari Onlus per un saluto agli insegnanti e per un rapido aggiornamento su ciò che sta facendo. Sfoggia un italiano quasi perfetto, con una leggera sfumatura di accento francese che denota il paese di provenienza, la Costa d’Avorio. Nella scuola Ari Onlus di Rieti Kader ha iniziato a muovere i suoi primi passi con l’italiano, prima di conseguire la licenza di terza media e iscriversi al serale all’istituto “Luigi di Savoia”, sempre a Rieti, per prendere la maturità. “Lo ricordo quando, avido di imparare, due mesi dopo il suo sbarco in Italia nel giugno del 2016 e dopo aver recuperato le forze dall’esperienza del viaggio in mare, ha iniziato a venire a scuola” dice Alessandra, una delle sue insegnanti. “Si sedeva al primo banco, sempre allo stesso posto, e non si lasciava sfuggire neanche mezza sillaba che usciva dalla bocca di noi insegnanti. L’ho seguito passo dopo passo nei suoi progressi, eppure ancora oggi, ogni volta mi stupisco positivamente di quanto sia stato rapido il suo apprendimento dell’italiano e mi complimento con lui per questo”.

Il lungo viaggio di Kader: una nuova vita dopo il mare
Quando l’insegnante gli chiede di raccontare il viaggio dalla Costa d’Avorio all’Italia si mostra subito disponibile, cerca di mantenere il suo solito tono di voce acceso, anche se qualcosa negli occhi tradisce una certa malinconia. “Ho lasciato il mio paese da solo quando avevo sedici anni, per raggiungere mio zio che stava lavorando in Libia. La mia famiglia non voleva ma la mia volontà di raggiungerlo è stata più forte delle loro proibizioni e della paura di non farcela. So che per un italiano è una cosa strana; qui i ragazzi di quell’età vanno a scuola e non lasciano la famiglia così presto, ma in Africa è tutto diverso.” Racconta di aver attraversato il Burkina Faso e il Niger prima di arrivare in Libia, passando il deserto su camion guidati da persone che conoscevano bene le rotte da seguire per non essere trovati dalla polizia e per oltrepassare i confini dei vari paesi.“Sono partito solo, con uno zaino sulle spalle e pochi soldi in tasca. Non ero l’unico a viaggiare, ho conosciuto tante persone, dormito per terra e mangiato ciò che trovavo.” Arrivato in Libia, il suo obiettivo era quello di iscriversi a scuola ma non gli è stato permesso in quanto nero. Ha imparato un po’ di arabo e per un breve periodo ha lavorato come lavapiatti in un ristorante. “Dopo lo scoppio della guerra però, i libici non volevano vedere stranieri in giro per il paese. Mi hanno preso e portato in prigione senza aver commesso alcun crimine, costretto a fare lavori forzati e privato della mia libertà. Sono riuscito a scappare insieme ad altri ragazzi ma siamo stati subito ritrovati e riportati in galera. La vita in Libia era diventata troppo pericolosa, si poteva morire da un momento all’altro. Tutti, persino i bambini, avevano una pistola e potevano decidere se lasciarti vivere o ucciderti. Anche questo può sembrare strano a un giovane italiano, ma vivere in un paese in guerra significa non avere più alcun potere sulla propria esistenza.” Ora Kader sembra aver perso tutta la sua vivacità nella voce. “Non sapevo niente dell’Europa e non era nei miei progetti venire in Italia. Una notte però, mi hanno minacciato e caricato su un barcone insieme ad un centinaio di persone contro la mia volontà. Il viaggio è durato circa sei o sette ore, poi verso le due di notte la guardia costiera ha avvistato l’imbarcazione e ci ha salvati.””Da quel giorno il mare per me ha cambiato per sempre significato. Mi terrorizza pensare a quella immensa distesa d’acqua senza confini ma ancora di più mi terrorizza pensarlo di notte, quando si perdono anche i confini delle cose e tutto diventa nero.” È consapevole però che l’esperienza del viaggio in mare, oltre ad avergli causato tanta sofferenza, gli ha regalato anche una nuova vita. “L’Italia è il Paese che mi ha salvato, che mi sta facendo crescere come uomo, mi sta dando l’opportunità di esprimermi e di progettare un futuro migliore. Non passa giorno in cui non piango perché mi manca la mia famiglia ma sono forte e felice di ciò che sto facendo. Quando si rischia così tanto, scoprirsi vivi e liberi è la cosa più bella del mondo“.

Alessandra Marchioni(4 aprile 2018)
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